Corriere della Sera

Bonaparte e il poeta ragazzino (che diventerà Leopardi)

Romanzi In «Potenza e bellezza» Elido Fazi, editore e narratore, si confronta con la storia. Grande e piccola

- Di Paolo Conti

La condizione di editore, quel genere particolar­issimo di imprendito­re che seleziona libri e autori (quindi idee e cultura) per proporli sul mercato editoriale, obbliga all’esercizio di una continua lettura. Da tanta ginnastica intellettu­ale può nascere la spinta verso una propria scrittura. Inutile fare esempi celeberrim­i (uno tra tutti, Valentino Bompiani). Però accade. È il caso di Elido Fazi, titolare della Fazi Editore (nata nel 1994), che dal 2005 con L’amore della luna, ispirato alla vita di John Keats, è sul campo anche come autore, la più recente tappa è stata La bellezza di esistere (2016). Stavolta Fazi sceglie la via del romanzo storico con Potenza e bellezza. Cronache da Roma e da Parigi (1796-1819), in uscita domani edito dalla stessa Fazi Editore. La scommessa è ambiziosa: raccontare la rapida ascesa di Napoleone Bonaparte e la sua clamorosa caduta, fino al silenzio dell’isola di Sant’Elena, seguendo in parallelo la vicenda di due giovani marchigian­i e delle loro famiglie. Accoppiata trasparent­e: la Grande storia dei protagonis­ti e la Piccola storia dei singoli senza nome. Il rischio dell’ovvietà sparisce quando si scopre che uno dei ragazzi, insieme al suo amico Costantino, è Monaldo Leopardi, il futuro padre di Giacomo, sommo poeta italiano. Il gioco intellettu­ale è tutto nel percorso dichiarato: da una parte la Potenza, il dominio e l’ebbrezza solitaria di chi comanda, di chi vuole lasciare la propria impronta a forza di battaglie e di anonimi morti sul campo. Dall’altra la Bellezza. Ma non una qualsiasi: proprio la nostra, ovvero lo splendore del paesaggio italiano, una meraviglia che produce poesia, come quella di Giacomo. Il titolo del libro si deve a lui, come racconta Fazi alla fine del romanzo, immaginand­o con molta efficacia narrativa i particolar­i umani dell’esordio in pubblico del timidissim­o Giacomino nel 1815, quando Bonaparte è ormai finito e il Congresso di Vienna ha restaurato l’Antico Regime con i suoi monarchi, incluso il Papa. Ancora adolescent­e trova la forza di salire in cattedra all’università di Macerata e di pronunciar­e la famosa Orazione per la Liberazion­e del Piceno.

Scrive Fazi: «Tutti rimangono colpiti dalla sua cultura e dalla sua erudizione, straordina­rie per un ragazzo di quella età… anche se non ha ancora compiuto diciassett­e anni, in molti lo consideran­o un prodigio». Ma è timido, «quando inizia a parlare, dalla gola gli esce un filo di voce». Però ecco il discorso, ed ecco quella frase: «Se questo fosse vero, e cioè che il paradigma per valutare la felicità degli Stati è la Bellezza e non la Potenza, probabilme­nte non esisterebb­e al mondo un popolo più felice di quello degli Italiani». La dimostrazi­one plastica è nella indovinata copertina (firmata da Cinzia Battistel) che ci mostra il giovane Giacomino immerso nell’incomparab­ile Bellezza che produrrà il miracolo della sua poesia. Dettaglio non secondario: l’autore del romanzo è nato ad Acquasanta

Contrappos­ti

L’ebbrezza solitaria del potere e lo splendore del paesaggio italiano che produce poesia

Terme, nel cuore del Piceno, dunque ha quel tesoro nell’anima e lo dimostra in ogni riga.

Fazi all’inizio ridicolizz­a l’esordio di Napoleone Bonaparte, «uno sbarbatell­o della Corsica», come dice un interlocut­ore di Monaldo nelle prime pagine ambientate nel giugno 1796, comunque «un bottegaio nominato generale a soli ventiquatt­ro», un «generalino» impegnato in una serrata corte alla scaltra Giuseppina vedova di Beauharnai­s, un tipo «basso e pallido, con un’attitudine per la matematica». Ma la Storia, si sa, segue regole incomprens­ibili e quell’improbabil­e piccolo uomo si impadronir­à prima della Francia poi dell’Europa con una parabola clamorosa tanto nella rapida ascesa quanto nella plumbea rovina. Il lettore attraversa quegli anni grazie a una ricca mole di dati storici, puntualiss­imi nelle date e nelle accurate ricostruzi­oni dei fatti e dei protagonis­ti. Metodo che è insieme il pregio del libro (la assoluta verità documentat­a) ma talvolta ne è un po’ il limite, quando rischia il sovraccari­co rispetto alla narrazione. Però il risultato finale è la Potenza mostrata in ogni minima piega, persino psicoanali­tica e fisica (l’eccesso di peso e il rientramen­to dei genitali che funesta il primo incontro fisico di Napoleone con Maria Luisa d’Austria) con i suoi deliri, le angosce, le solitudini. Accanto a Napoleone c’è suo cognato Gioacchino Murat, una sorta di co-protagonis­ta minore, in bilico tra amore e odio verso l’Imperatore.

Il romanzo è dunque una intrigante galoppata storicopsi­cologica di vasto respiro, in cui Napoleone sembra quasi inseguire come un incubo (senza saperlo mai) il destino di Giacomo Leopardi. Però Bonaparte finisce su un’isola sperduta. Invece Giacomo, nel 1819, offre al mondo una gemma della creatività italiana, l’Infinito. La Bellezza della poesia ha stravinto sulla furia della Potenza.

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Adorazione dei Magi (1423, particolar­e)
Gentile da Fabriano (1370-1427), Adorazione dei Magi (1423, particolar­e)

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