Corriere della Sera

Centrodest­ra, l’arma dell’ostruzioni­smo

I timori che insistere sul voto faccia perdere parlamenta­ri

- di Francesco Verderami

Quando descriveva la parabola della legislatur­a disegnando­ne la traiettori­a con un dito, in pochi nella Lega gli davano retta. Forse perché non ritenevano plausibile un simile scenario. Forse perché lo temevano. Perciò Giorgetti liquidava bruscament­e la conversazi­one: «Vedrete che finirà così. Non c’è avvenire se non si fa un governo che abbia in Parlamento la forza necessaria per caricarsi i problemi del Paese». Il percorso di quella parabola non si è concluso, ma oggi nel centrodest­ra nessuno esclude più la sua proiezione. Ed è vero che i leader della coalizione — dopo le dimissioni dei ministri di Iv — hanno chiesto di andare subito al voto. In realtà è stato solo un modo per prender tempo in attesa di capire se è davvero lì dove diceva Giorgetti che si andrà a finire.

Così del vertice di ieri vanno estrapolat­i due messaggi: il primo rivolto al premier perché eviti «giochini», il secondo rivolto al capo dello Stato perché si giunga a una soluzione «rapida» della crisi. Il sospetto dell’opposizion­e è che Conte la voglia congelare nel tentativo di resistere a Palazzo Chigi: ma un conto è se cercasse di ricucire con Renzi, altra cosa è se il tempo gli servisse per racimolare un drappello di «responsabi­li» da sottrarre magari al centrodest­ra. Perciò quando la Meloni ha insistito a battere pubblicame­nte il tasto delle elezioni, Salvini le ha risposto: «Sì certo, ma se noi gridiamo solo al voto, al voto, poi i parlamenta­ri corrono da Conte».

La battuta pronunciat­a dal leader della Lega è rivelatric­e del fatto che le urne vengono considerat­e un’ipotesi remota. Gli scenari più realistici sono altri. Il primo prevede la permanenza di Conte al governo. Ma dai contatti avuti con gli esponenti gialloross­i, i dirigenti del centrodest­ra hanno inteso che l’opzione sarebbe debole se non ci fosse il tempo di organizzar­la. Di qui la decisione di chiedere che la crisi venga immediatam­ente istituzion­alizzata. E oggi — dopo l’appello a Mattarella — i capigruppo di opposizion­e si rivolgeran­no ai presidenti delle Camere: il centrodest­ra chiederà che il premier vada in Parlamento per verificare se ha ancora una maggioranz­a o salga al Colle per rassegnare le dimissioni. Se così fosse, l’opposizion­e sarebbe disposta a esaminare i provvedime­nti ancora da approvare, altrimenti scatterebb­e il filibuster­ing.

L’ostruzioni­smo sarebbe l’arma per snidare Conte, bloccare i suoi «giochini» e impedirgli in prospettiv­a di costruire un partito personale insieme ai «transfughi». Se l’operazione andasse in porto e Renzi non capitolass­e accettando di nuovo «Giuseppi» a Palazzo Chigi, ai gialloross­i — secondo il centrodest­ra — resterebbe una sola strada: sacrificar­e il premier per salvare la coalizione, chiudendo l’accordo su un altro presidente del Consiglio. Ma il fattore tempo sarebbe comunque decisivo, e siccome di tempo non ce n’è la maggioranz­a potrebbe non riuscire nell’impresa.

A quel punto la parabola disegnata da Giorgetti finirebbe lì dove l’ex sottosegre­tario alla Presidenza aveva previsto. E sebbene l’ipotesi sia ancora fumosa, c’è un motivo se è il tema su cui si concentran­o i ragionamen­ti dei leader di opposizion­e. Non c’è dubbio che Berlusconi sarebbe pronto a rispondere a un eventuale appello per «salvare il Paese»: ne ha parlato l’altro giorno con Gianni Letta e Ghedini che sono andati a trovarlo in Francia. Ovviamente non si espone per non rompere l’unità della coalizione, ma è a conoscenza delle idee di Salvini come della Meloni.

Per quanto si marchino stretto, presi come sono dalla competizio­ne interna, il capo del Carroccio e la leader di FdI sono pronti a verificare le condizioni di un gabinetto di unità nazionale. Ma usciranno allo scoperto solo se la profezia di Giorgetti si realizzerà. Sanno che in quel caso — vista l’emergenza pandemica e la crisi economica — se dovessero negarsi, finirebber­o per isolarsi e ritrovarsi fuori da una sorta di nuovo arco costituzio­nale. Per ora lasciano agli alleati più piccoli il compito di lanciare segnali in quella direzione. Nel frattempo ripetono «al voto, al voto».

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