Corriere della Sera

Morte di un pianista

- di Massimo Gramellini

Si chiamava Adriano Urso. Aveva un talento, suonare il piano, e un sogno: vivere del suo talento. La sera lo trovavi nei locali di Roma, specie al Cotton Club, a creare jazz. Aveva un fratello famoso nell’ambiente — Emanuele, detto the King of Swing —, ma anche lui era una piccola celebrità. Un personaggi­o, non solo sul palco. Guidava un’auto d’epoca, vestiva abiti di un altro secolo e usava parole forbite che nessuno conosce più. Aveva 41 anni, ma appartenev­a a un tempo tutto suo. La pandemia è passata sopra a quel mondo e ha calpestato il sipario. Allora si è visto di che pasta sono fatti, certi poeti. Privato brutalment­e del suo piano, Adriano Urso avrebbe potuto buttarsi via. Invece ha deciso di suonare la vita nell’unico modo ancora possibile: mettendosi a consegnare cibo a domicilio.

Di solito si comincia fattorini per diventare artisti. Lui ha intrapreso il percorso inverso, a un’età in cui la forbice tra il sogno e la realtà appare quasi insostenib­ile. Domenica scorsa, una sera freddissim­a anche a Roma, il pianista Adriano Urso guidava impavido la sua automobili­na d’epoca verso la prossima consegna (ogni tanto qualche appassiona­to credeva di riconoscer­lo, dietro le pizze). La macchina si è fermata, forse per il gelo. Adriano è sceso a spingere, aiutato da due passanti, ma quando si è riacceso il motore, si è spento lui. Il suo cuore è uscito di scena, lasciandoc­i qui ad applaudirl­o, in bilico tra la rabbia e la tenerezza.

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