«Il premier lasci e si vada alle urne» Centrodestra pronto a disertare l’Aula
I tre leader: senza fiducia si voti, come in tanti altri Paesi Ma Zaia: ora una campagna elettorale sarebbe traumatica
«Fate in fretta» aveva chiesto pubblicamente Silvio Berlusconi pochi giorni fa, e «fare in fretta» è la formula con cui l’opposizione reagisce alla crisi della maggioranza. «Il centrodestra, prima forza politica del Paese, chiede che il presidente del Consiglio prenda atto della crisi e si dimetta immediatamente o, diversamente, si presenti domani (oggi, ndr) in Parlamento per chiedere un voto di fiducia» è la nota perentoria che arriva da Salvini, Meloni, Berlusconi dopo un vertice allargato ai loro vice e agli altri alleati di coalizione — Rotondi, Toti, Cesa, Lupi — nel quale si sono esaminate tante ipotesi ma si è scelta una linea unitaria. Che si basa su due principi.
Il primo, appunto, è che non si perda tempo, sia perché è quello che vuole il Paese, sia perché — confida un partecipante al vertice — «non dobbiamo dar loro modo di riorganizzarsi o a Conte lo spazio per recuperare voti in Parlamento o fare un suo partito se si andrà al voto anticipato: ogni giorno in più è un giorno perso». La seconda richiesta, in parte convinta ma anche di bandiera se è vero che pure un leghista come il governatore del Veneto Zaia ritiene che «una campagna elettorale oggi sarebbe traumatica e non è il momento delle elezioni», è comunque di tornare alle urne: «Se non ci sarà la fiducia — continua infatti il comunicato — la via maestra per riportare al governo del Paese una maggioranza coesa e omogenea, con un programma condiviso e all’altezza dei problemi drammatici che stiamo affrontando, resta quella delle elezioni». In ogni caso, è l’avvertimento, i partiti del centrodestra «ribadiscono con chiarezza la loro indisponibilità a sostenere governi di sinistra».
Insomma non ci sarà alcun appoggio a Conte, che si deve dimettere subito, e nessuno per il momento si offre per altre formule, che siano d’emergenza, di scopo, di unità nazionale. Ora, quello che si pretende anche dal capo dello Stato è che non si permetta a Conte e alla sua maggioranza spaccata di galleggiare. Tanto che, se non arriveranno risposte, già oggi l’opposizione potrebbe decidere di disertare le aule parlamentari, una sorta di Aventino per protesta e per fare pressione. La decisione si prenderà oggi. Nessuno ha certezza di quello che accadrà. Quindi, ciascuno usa le parole d’ordine più adatte per il proprio elettorato. Salvini invoca il voto: «Gennaio, voto in Portogallo. Febbraio, voto in Catalogna. Marzo, voto in
Olanda, Israele e Bulgaria. Aprile, voto in Albania. Maggio, voto in Scozia, Galles e Cipro. Giugno, voto in Francia. Settembre, voto in Norvegia, Russia e Germania. Ottobre, voto in Repubblica Ceca. Il governo in Italia non c’è più? Che si fa?». Sulla stessa linea Meloni: «Basta con il circo. Ci appelliamo a Mattarella perché si possa chiudere questa querelle il prima possibile. In tutto il resto d’Europa stanno votando, la democrazia non si può rimandare all’infinito». Più cauta FI: «Con 600 morti al giorno e centinaia di migliaia di imprese che rischiano di chiudere non c’è tempo da perdere, i partiti di sinistra facciano in fretta», dice Tajani. Già, ma poi? In molti c’è la convinzione, come dice il consigliere del Cavaliere Renato Schifani, che il centrosinistra «farà di tutto per rimanere al governo, anche cambiando premier». E allora, aggiunge un altro big azzurro, si capisce come non avrebbe senso «offrire ora la nostra disponibilità ad altre formule: se non ce la faranno da soli, e se Mattarella non vuole sciogliere le Camere, saranno loro a chiederci appoggio e noi a quel punto potremmo anche porre condizioni». Oggi bisogna evitare il temporeggiare e insistere sul voto «che spaventa loro, non certo noi», dicono da FdI. Dividersi o fare distinguo — convengono tutti nel centrodestra — sarebbe «un regalo per loro e un errore imperdonabile».