I segreti dei Barzini dinastia della penna
Il nipote di Luigi Senior ricostruisce la vicenda dello zio antifascista morto nel lager di Mauthausen
Anteprima Esce il 21 gennaio per Solferino il libro in cui Andrea Barzini rievoca i figli del grande inviato: suo padre Luigi Junior, anch’egli giornalista, ed Ettore, vittima della repressione nazista. Qui la prefazione di Paolo Mieli
Il nonno e il padre dell’autore di questo libro — si chiamavano entrambi Luigi Barzini — sono stati due tra i più importanti giornalisti italiani del Novecento. Il primo (1874-1947) fu l’asso nella manica di Luigi Albertini, direttore della stagione d’oro del «Corriere della Sera» a inizio secolo. Fu autore di reportage memorabili come il raid PechinoParigi del 1907, inviato d’eccezione nella guerra di Libia e nella Prima guerra mondiale. Il pubblico del quotidiano milanese lo adorava (anche se nel corso della Grande guerra i fanti nelle trincee lo considerarono talvolta eccessivamente compiacente nei confronti della versione ufficiale del conflitto). I suoi articoli venivano ripubblicati in Gran Bretagna dal «Daily Telegraph».
Finita la guerra, Barzini Senior — d’ora in avanti lo chiameremo così — ebbe l’idea di fondare un suo «Corriere d’America» e Albertini lo incoraggiò a trasferirsi negli Stati Uniti dove restò per tutti gli anni Venti. L’impresa però non ebbe successo. Senior tornò in Italia, nel 1933, amareggiato. Benito Mussolini era andato al potere nel 1922, Albertini aveva dovuto lasciare direzione e proprietà del «Corriere», l’Italia era molto diversa da come l’aveva lasciata. Ottenne qualche incarico di relativa importanza (un brevissimo periodo di direzione a «Il Mattino»), fu provvisoriamente gratificato con la nomina a senatore del Regno e nel ’43 seguì Mussolini nell’avventura della Repubblica sociale italiana dove fu nominato direttore dell’Agenzia Stefani. Tornato dalla Rsi fu privato di tutto, il seggio senatoriale, la possibilità di continuare a fare il giornalista, e dopo poco tempo, nel 1947, morì.
Il padre dell’autore, Luigi Barzini Junior (1908-1984) in famiglia era chiamato Gibò e fin da giovane optò, anche lui, per la scrittura giornalistica. Negli anni Trenta, mentre il padre tornato in Italia faticava a ritrovare un nuovo spazio, Luigi Barzini Junior entrava nel firmamento. La formazione anglosassone, che aveva ereditato da Senior, fece di lui un giornail lista diverso per stile dai contemporanei. Scrisse da New York, dal Messico, dalla guerra d’Etiopia, da Nanchino. Ottenne una celeberrima intervista con Henry Ford nella quale il magnate americano dell’auto manifestava le proprie simpatie per Mussolini. Fu probabilmente favorito anche da una non occasionale amicizia con Galeazzo Ciano, genero di Mussolini (ne aveva sposato la figlia Edda), che aveva conosciuto ai tempi della guerra d’Etiopia.
Nel 1940 sposò Giannalisa Feltrinelli, vedova del ricchissimo Carlo (forse avvelenatosi dopo un dissesto economico) e madre del futuro editore Giangiacomo. In quello stesso anno Junior fu arrestato e quella breve detenzione fece in un certo senso la sua fortuna. Perché gli consentì, nel dopoguerra, di riprendere quasi immediatamente il mestiere di giornalista. Fondò il quotidiano «Il Globo», scrisse negli anni Cinquanta sul «Corriere della Sera», pubblicò un libro di enorme successo, Gli italiani. Fu anche parlamentare liberale per quattordici anni dal 1958 al 1972 (tre legislature). Anticomunista inflessibile, non ebbe mai simpatie per la sinistra, neanche quella fuori dal Pci. A differenza dei figli che invece ebbero tutti, con diverse inclinazioni, simpatie progressiste. Le due che ebbe dalla prima moglie: Benedetta e Ludina; i tre che ebbe dalla seconda, una donna di grandissima classe, Paola Gadola: Luigi, Francesca e Andrea.
Quest’ultimo, Andrea, ha scelto nella vita di non seguire le orme del padre o del nonno e di dedicarsi con successo alla regia cinematografica e televisiva (tra i suoi film più famosi, Italia Germania 4-3, Passo a due). Però gli è rimasta una grande curiosità nei confronti della propria famiglia di origine e soprattutto di un fratello del padre a cui i molteplici libri sui Barzini (con un’eccezione di cui dirò a breve) dedicano uno spazio relativamente ristretto: Ettore, lo zio Ettore (1911-1945). Uno zio peraltro mai conosciuto dal nipote. Come, del resto, nonno. L’eccezione di cui si è detto è costituita da un pregevole libro di Simona Colarizi,
Luigi Barzini. Una storia italiana, edito da Marsilio nel 2017. Secondo la Colarizi, Senior visse l’ultimo periodo della sua vita schiacciato dal dolore per aver perso a Mauthausen il figlio Ettore, militante antifascista. Di più: si rimproverava di essere stato la causa indiretta del fatto che il figlio, nel dicembre del 1943, si fosse consegnato alle SS: che «lo avevano nel mirino».
Aveva aderito, il vecchio Barzini, alla Repubblica sociale nella convinzione che il suo prestigio e la sua autorevolezza avrebbero potuto in qualche modo salvare la vita al figlio. Invece le cose erano andate all’opposto: quel passaggio nella Rsi non aveva salvato Ettore ed era costato tantissimo a Senior, al punto che due anni dopo la fine della guerra il nonno dell’autore di questo libro aveva deciso di togliersi la vita in una misera pensione milanese di piazzale Cadorna (di cui Junior pagava l’affitto). Per certi versi il destino di Ettore, oltre al dolore prodotto per l’evento in sé, certificava in modo definitivo l’irrilevanza dell’anziano Luigi Barzini da molto prima che la tragica vicenda si consumasse. Dal momento — a essere precisi — del suo rientro in Italia nel 1933. Così accadde che nel ’47 i funerali di quello che all’inizio del Novecento era stato di gran lunga il più famoso giornalista italiano furono ancora più tristi del dovuto, conquistarono sui quotidiani poche righe e radunarono dietro il feretro pochissimi coraggiosi amici (tra i quali Indro Montanelli e Gian Gaspare Napolitano).
I due fratelli, Gibò e Ettore, ricostruisce Andrea Barzini, erano l’uno l’opposto dell’altro. Paradossalmente dalla lettura di queste pagine cresce la sensazione che Gibò, fin da giovanissimo uno degli uomini di maggior successo dell’epoca in cui visse, soffrisse di una qualche invisibile gelosia nei confronti di quel fratello minore che dopo studi di agraria si era
Destino amaro
Per la sua adesione alla Repubblica di Salò l’anziano Luigi Barzini Senior perse la carica di senatore e si ridusse in miseria dopo la Liberazione
dedicato a imprese poco fortunate dapprima in California, poi in Somalia. Forse «gelosia» non è il termine giusto, ma era come se la vita di Ettore contenesse un segreto il cui senso più profondo era sempre sfuggito al fratello. Come se Junior avesse inseguito nel corso della sua intensa esistenza qualcosa che riuscisse a evitargli il destino del padre il quale, dall’indomani della Grande guerra, non era stato più quel personaggio mitico che era stato nei primi vent’anni del Novecento.
Entrambi invece furono costretti nel fiore degli anni a inseguire traguardi fantasma che si allontanavano sempre di più. Per sua fortuna, Senior aveva avuto al fianco una donna eccezionale, Mantica. Lui, Junior, era stato poco fortunato anche nella vita privata. Dapprima Giannalisa ribattezzata «piccolo Führer»; poi Paola di cui però non era stato capace di apprezzare le doti di saggezza e sensibilità, offuscato com’era dal fatto che fosse la sorella minore di Bebe, la ragazza di cui era stato innamorato da giovane e che la famiglia gli aveva negato.
Al matrimonio tra Junior e Paola («privato per non invitare i suoceri») seguono vent’anni che sarebbe arduo definire lieti. Al termine dei quali, Paola, lasciandolo gli rimprovera — non a torto — di essere maschilista, ancien régime, rigido, schematico, incapace di ascoltare («i figli per colpa sua erano scappati di casa»), snob, eccentrico, vanitoso e così preso di sé da non accorgersi di chi gli stesse intorno. La seconda moglie lo accusava, probabilmente senza consapevolezza — scrive Andrea Barzini — di non essere «un borghese milanese come erano stati gli amici della sua giovinezza, i ragazzi ambiziosi ma non troppo, eleganti ma non troppo, ricchi ma non troppo, che erano stati i compagni di sport e moderata baldoria a Celerina, Portofino, Levanto».
Ettore, arrestato nel dicembre del ’43 in seguito alla cosiddetta «congiura degli architetti» (un affaire cospirativo nato all’interno della buona borghesia milanese), pur essendo stato fino a quel momento un trentenne che non potrebbe esser definito baciato dalla fortuna, corrispondeva ai canoni estetici di Bebe, di Paola e di una certa società milanese, più di quanto lo fosse Gibò. Il quale aveva poi trascorso il resto della sua esistenza nel secondo dopoguerra restando un uomo degli anni Trenta per vendicarsi di questo affronto. Quel fratello che non si era lasciato sedurre dalla cognata Giannalisa Feltrinelli, che non aveva flirtato con il fascismo (neanche quello frondista), che era stato ucciso dai nazisti per il solo fatto di essersi trovato — con nonchalance — dalla parte giusta della Storia, pesava doppiamente a Gibò. Sia come non lieve lutto famigliare, sia come suggello di un segreto fallimento esistenziale.
Un libro straordinario, questo di Andrea Barzini. Un saggio impeccabile sotto il profilo della ricostruzione storica e, a un tempo, un romanzo coraggiosamente introspettivo opera di uno scrittore che ha saputo addentrarsi nei meandri più segreti di una tra le più conosciute famiglie italiane. La sua.