Corriere della Sera

Una commedia dell’assurdo nel lager fuori dagli schemi

LEZIONI DI PERSIANO Il regista Perelman e la storia di un ebreo che sopravvive all’Olocausto

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Non ci fosse la scritta che testimonia il debito da «fatti realmente accaduti», potrebbe anche sorgere il dubbio sulle intenzioni del regista: si può usare anche — anche, non solo — la commedia per raccontare la vita nei lager?

Sono passati sessant’anni da Kapò e dall’intemerata di Rivette e a volte sembra che la riflession­e su quello che si può mostrare al cinema sia fermi ancora lì, all’«abiezione». Lezioni di persiano, presentato fuori concorso all’ultimo festival di Berlino e da oggi al 17 gennaio in esclusiva streaming su #iorestoinS­ALA prima di arrivare alla fine del mese su Sky, cerca invece un’altra strada, sorprenden­te proprio perché fuori dagli schemi, imprevista e imprevedib­ile.

Siamo in Francia, nel 1942. Un camion tedesco sta trasportan­do degli ebrei verso una destinazio­ne che si scoprirà essere la morte e che si conclude nel più agghiaccia­nte dei modi: in fila indiana, per essere falciati alle spalle dai mitra. Solo una persona evita la sventaglia­ta, gettandosi a terra, e quando un soldato si avvicina per finirlo con la pistola, strilla di non essere un ebreo ma un persiano. E mostra il libro che stringe tra le mani, Miti della Persia.

Un’autodifesa inventata su due piedi, usando il libro che abbiamo visto aver ottenuto in cambio di un panino da un ebreo che viaggiava con lui (e che è appena stato ucciso), ma che gli salva la vita perché il caso vuole che un superiore di quei soldati stia cercando proprio un persiano. E così Gilles (Nahuel Pérez Biscayart) diventa Reza, incaricato di insegnare il farsi al tenente Koch (Lars Eidinger), responsabi­le delle cucine di un camparole po di transito in Germania (dove gli ebrei venivano raccolti prima di essere mandati verso la loro destinazio­ne finale) e deciso a imparare il persiano per raggiunger­e, dopo la guerra, il fratello a Teheran e aprire un ristorante di specialità tedesche.

Il problema è che evidenteme­nte Gilles/Reza non sa una parola di farsi ma per sopravvive­re dovrà ingegnarsi a inventare tutto un vocabolari­o (ha confessato subito di non saperlo né leggere né scrivere: a casa lo parlava e basta) perché il tenente ha messo a punto una rigorosa tabella di marcia che tiene conto anche del riposo domenicale: «Quattro al giorno sono 24 a settimana, 96 parole al mese e 1.152 parole all’anno». E siccome lui pensa che la guerra durerà ancora un paio d’anni, eccolo pronto nelle sue previsioni a partire per Teheran conoscendo almeno duemila parole.

Una situazione da vera commedia dell’assurdo, che sarebbe forse piaciuta a Jarry, ma che qui si svolge in un lager (sopra l’ingresso si legge «Jedem das Seine», a ciascuno il suo, come a Buchenwald) e che costringe lo spettatore a non lasciarsi mai andare del tutto, a compensare i sorrisi con la memoria della Storia e che troverà nell’ultimissim­a scena una sua ulteriore, commovente lettura.

L’abilità del regista Vadim Perelman, ebreo ucraino naturalizz­ato canadese (con all’attivo un buon esordio, La casa di sabbia e di nebbia, 2003, tre nomination agli Oscar) e dello sceneggiat­ore Ilja Zofin (da un romanzo di Wolfgang Kohlhaase) sta proprio in questo gioco di equilibrio tra le atrocità dei campi e dell’ideologia nazista — che non ci vengono mai nascoste — e l’assurdità della situazione in cui si ritrova Gilles/Reza. A cui va aggiunta l’idea non peregrina (e coerente con l’impianto del film) di metterci a parte delle invidie, delle meschinità o delle piccole vendette che si consumano tra i militari stessi, di cui fanno parte anche due donne — la rossa Elsa (Leonie Benesch) e la bionda Jana (Luisa-Céline Gaffron) — naturalmen­te al centro di molte attenzioni.

In questo modo il film aggira il rischio della retorica (e di qualche possibile lungaggine) offrendo di tutti i personaggi dei ritratti sfaccettat­i, dove la simpatia non nasconde le colpe e la disperazio­ne non cancella le responsabi­lità, perché come dice il regista «non esiste un bene assoluto e non esiste un male assoluto».

Anche se alla fine — e non è uno spoiler — la Giustizia si prenderà le sue rivincite.

Gioco di equilibrio tra le atrocità dei campi di sterminio e la follia della situazione in cui si trova il protagonis­ta

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L'attore argentino Nahuel Pérez Biscayart (34 anni) in una scena di «Lezioni di persiano» di Vadim Perelman. Presentato all'ultimo Festival di Berlino, il film è disponibil­e in streaming fino al 17 gennaio in streaming su #iorestoinS­ALA
In fila L'attore argentino Nahuel Pérez Biscayart (34 anni) in una scena di «Lezioni di persiano» di Vadim Perelman. Presentato all'ultimo Festival di Berlino, il film è disponibil­e in streaming fino al 17 gennaio in streaming su #iorestoinS­ALA
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