«Nuova piena in arrivo Noi medici siamo pochi, stanchi e preoccupati»
Giarratano: i rinforzi non sono arrivati
«La paura è che gli ospedali non riescano a reggere l’urto con il secondo picco della seconda ondata», preferisce indicarla con questa numerazione anziché come «terza», Antonino Giarratano, presidente designato di Siaarti, la società italiana di anestesia e rianimazione, capo del dipartimento di emergenza e urgenza al policlinico di Palermo.
In Sicilia i posti letto intensivi occupati a novembre da pazienti con Covid erano 280, sono scesi nelle settimane successive fino a 180 (il 4 dicembre) e sono tornati a crescere. Attualmente sono 215.
Aspettate la nuova piena?
«Sì, da noi come in tutte le Regioni il nuovo aumento è il risultato delle zone gialle autorizzate a macchia di leopardo e continuamente cambiate sulla base dei parametri utilizzati per distinguere i livelli di rischio. Il colore giallo, a mio parere, equivale a un liberi tutti nella mentalità dei cittadini, così viene percepito. E porta inesorabilmente a crescita di contagi, crescita di ricoveri nei reparti e crescita di vittime».
Siete rassegnati a subire l’alzata di testa dell’epidemia?
«Noi stiamo già navigando sulla cresta di una nuova ondata. Che sia la seconda o la terza il risultato non fa nessuna differenza. L’impatto sul sistema sanitario non cambia. E purtroppo non siamo cambiati neppure noi».
Che vuole dire?
«Gli anestesisti-rianimatori non sono una figura intercambiabile. Per assistere pazienti critici che hanno bisogno di essere ventilati in modo intensivo sono indispensabili competenze che non si costruiscono dall’oggi al domani. I nostri organici erano già in sofferenza nell’epoca pre-Covid e la situazione non è molto migliorata».
Uno dei parametri per misurare la capacità di resilienza degli ospedali è la percentuale di posti letto occupati che dovrebbe tenersi al di sotto del 30%. Quale realtà le viene riferita dai colleghi italiani?
«Io credo che quel 30% sia stato di gran lunga superato, con alcune differenze, ovviamente, tra le Regioni. L’equivoco di fondo è che questo parametro viene calcolato in base ai posti letto dichiarati sulla carta. Ma c’è una profonda differenza tra letti intensivi strutturali e operativi».
Il colore giallo equivale a un liberi tutti nella mentalità dei cittadini, così viene percepito E porta inesorabilmente a crescita di contagi, crescita di ricoveri nei reparti e crescita di vittime Guardiamo a cosa è successo in Veneto
Che differenza c’è?
«L’assistenza in rianimazione non è fatta di macchinari e tecnologie. È fatta dagli operatori, da organici composti da medici e infermieri. Da quando l’emergenza è cominciata in Lombardia, non abbiamo visto i rinforzi che ci sarebbero voluti. Per formare un anestesista ci vuole una preparazione adeguata. Ecco perché le ho detto che siamo sempre gli stessi, stanchi e preoccupati».
Che cosa prevede per le prossime settimane?
«Durante le feste di Natale e Capodanno e nei giorni precedenti c’è stato un generale rilassamento di comportamenti di cui cominciamo a vederne gli effetti. Negli ospedali vengono segnalati focolai portati da pazienti ricoverati per altre patologie e anche da operatori che, pur osservando tutte le precauzioni nella vita privata, hanno comunque vissuto in ambienti dove il virus circolava. Il personale che si ammala è anche una sottrazione di forze».
Che cosa pensa delle zone di rischio a colori?
«La zona gialla non funziona ai fini del contenimento dell’epidemia. La sua istituzione è devastante sul piano delle conseguenze. Nell’immaginario collettivo equivale a un liberi tutti. Vanno meglio le zone arancioni. Le Regioni che si sono mantenute al difuori del rosso hanno visto una crescita di contagi esponenziale che ha portato in certe zone all’intasamento delle terapie intensive, guardiamo ad esempio il Veneto».
È d’accordo con il ritocco restrittivo delle soglie che portano al cambio di colore?
«Era necessario. Il giallo è stato un insuccesso».