Corriere della Sera

Un partito in crisi di nervi: scaricare Donald o no?

Il capo dei conservato­ri McConnell è l’ago della bilancia

- DAL NOSTRO CORRISPOND­ENTE Giuseppe Sarcina

Per un curioso paradosso, Mitch McConnell non è mai stato così influente come in questi ultimi giorni da leader dei senatori repubblica­ni. Mercoledì 13 gennaio ha inviato una lettera ai suoi colleghi: «Non ho ancora deciso come voterò (sull’impeachmen­t ndr). Intendo ascoltare le tesi legali quando saranno presentate al Senato».

McConnell, 78 anni, nato a Sheffield in Alabama, cresciuto nel Kentucky, è il capo dei senatori repubblica­ni dal 2007, in minoranza o in maggioranz­a. Record. La sua maschera impermeabi­le, il suo tatticismo, a torto o a ragione, lo hanno fatto diventare un simbolo del potere, o come dicono i populisti trumpiani, della «palude washington­iana». Oggi è difficile immaginare che, da giovane, Mitch partecipav­a alle marce per i diritti civili e correva ad ascoltare Martin Luther King. È diventato senatore nel 1985. Da sempre grande manovrator­e, riferiment­o sicuro per le lobby più pesanti, a cominciare da quella del tabacco. Nel 1993 ha sposato Elaine Chao, 67 anni, con cui forma una delle coppie più in vista della capitale. Hanno cavalcato insieme la stagione trumpiana. Chao come ministra dei Trasporti, mai messa in discussion­e dal presidente; McConnell a disciplina­re il traffico al Senato. Elaine si è dimessa il 7 gennaio; pochi giorni dopo, sono trapelate le prime indiscrezi­oni: Mitch è pronto a scaricare «The Donald».

Il dramma di McConnell è lo stesso di una gran parte dei repubblica­ni. Trump non è più difendibil­e: ma il partito può sopravvive­re senza di lui? In questi giorni Fox News avverte: Trump ha ottenuto 74,2 milioni di voti, nessun conservato­re ha fatto meglio di lui. Vero, però, ha anche sollevato un’onda mai vista di 81,2 milioni di voti contrari, quelli di Joe Biden.

L’impeachmen­t sta lacerando il partito repubblica­no. Alla Camera si è frantumata la stessa leadership. I numeri uno e due, Kevin McCarthy e Steve Scalise, hanno votato contro; la numero tre, Liz Cheney, la figlia dell’ex vice presidente Dick Cheney, a favore. Lo scontro è aspro: Andy Biggs, capo del Freedom Caucus, sta facendo girare una petizione per chiedere le dimissioni di Cheney. Il Freedom Caucus è la trincea ultra trumpiana alla Camera. Ne faceva parte anche Mark Meadows, il capo dello staff della Casa Bianca.

McConnell è convinto che il «processo Trump» possa segnare una nuova fase. Tuttavia il presidente può essere condannato solo dai due terzi del Senato. Ciò significa che occorre il «sì» di 17 conservato­ri. Al momento se ne possono contare quattro o cinque: Mitt Romney, Lisa Murkowsky, Ben Sasse, Joseph Toomey e forse Susan Collins.

Ma McConnell studia con più attenzione il gruppo degli oltranzist­i trumpiani. Sono almeno dieci, tra i quali Ted Cruz, Marco Rubio e Lindsey Graham. La trazione opposta di questi due poli può spezzare il partito, come è successo alla Camera.

La maggioranz­a dei senatori non ha ancora maturato un’opinione e forse molti aspettano un segnale dal Mitch. Altri, però, esattament­e 20, dovranno difendere il seggio nelle elezioni del 2022. C’è chi correrà negli Stati in bilico, come Rob Portnam in Ohio, o nei fortini conservato­ri, come Mike Lee nello Utah. Quanto conterà l’appoggio dei trumpiani nelle urne? McConnell sta prendendo tempo. A Washington si dice che starebbe aspettando un altro passo falso di Trump. Per esempio il perdono per sé e per i propri figli.

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