Narrativa
Filippo Senatore e il lessico E il correttore non riconobbe la sua lingua
C’è un fatto, immaginario: durante gli scavi della linea metropolitana a Milano, gli operai ritrovano sottoterra, dentro una tomba antica, un «accattone». Ha circa sessant’anni e parla un italiano dell’altro secolo. L’uomo è un correttore di bozze, chiuso lì sotto da quasi vent’anni, dato che l’ultima bozza «dal Tombon de San Marc» l’ha corretta nel 1998. Inizia così il piccolo libro-manuale La leggenda del santo correttore (libertateslibri, pagine 96, 9) di Filippo Senatore. Qui l’autore — anche lui correttore di bozze — gioca con l’italiano degli ultimi vent’anni costruendo un volume che è per metà una piccola storia (quasi esplicativa di quello che segue) e per metà una riflessione sulla lingua.
Da quel ritrovamento, la narrazione prosegue con il capitolo «La terapia»: quella che una psicoanalista propone per aiutare l’accattone a orientarsi nel mondo linguistico in cui si ritrova. Attraverso un dialogo un po’ surreale, l’uomo si mostra molto scettico su questo presente linguistico: «Tra anglismi vecchi e nuovi mi pare che ci sia un aumento esponenziale nei lemmi dei maggiori quotidiani italiani per non parlare della pubblicità, della politica e della tv. Se continua così negli anni Venti l’italiano sparirà e scriveremo in un esperanto mobile dove tutto si può cambiare per non cambiare niente».
La seconda parte del volume ha un taglio più saggistico: la velocità con cui l’italiano è mutato («La gradualità serve al ricambio e i grandi poeti lo sanno», Dante in primis); accenni alla storia della lingua («l’italiano è sempre stata una lingua mobile e condizionata dai dialetti. Perciò è diventata più solida nello scritto e più fragile e colorita nel parlato secondo le aree geografiche», Senatore chiama in causa Tullio De Mauro). Fino all’ingresso massiccio dell’inglese.
Infatti, il dizionarietto finale è incentrato sugli anglicismi: si parte dalla «a» di adolescente (teenager) e si passa in rassegna quasi tutto il vocabolario, fino alla «v» di volgare (trash), con un questionario finale con cui mettersi alla prova. Un ironico e inaspettato volume che vuole denunciare come «in pochi anni la nostra lingua, impoverita, è stata attaccata da altri idiomi come termiti».