«Made in Italy», quanta nostalgia per la creatività anni 70
Èincredibile quanto il contesto, cioè la situazione in cui ci troviamo quando guardiamo qualcosa, condizioni il testo. La serie «Made in Italy» (prodotta da Taodue e creata da Camilla Nesbitt), il racconto sulla nascita della grande moda italiana nella Milano degli anni Settanta, era andata in onda a settembre 2019 su Amazon prime. Nella visione in streaming avevamo potuto ammirare la forza dell’idea (raccontare la nascita del gusto diffuso attraverso il pret-à-porter italiano), il tentativo di dare una veste biografica alla bellezza di un mestiere, la trama e l’ordito di una narrazione trattata con mano sicura e leggera.
MADE IN ITALY Margherita Buy
Arriva su Canale 5 la fiction su moda e Milano: 3.249.000 spettatori, 13,7% di share
Su Canale 5 è tutta un’altra cosa. «Made in Italy» continua a stupirci con sguardo penetrante su quella rivoluzione pop; i nomi di Armani, Versace, Krizia, Missoni, Ferrè, Fiorucci, Curiel risuonano ancora nelle intuizioni o nell’atto creativo; la protagonista Irene (Greta Ferro) non ha perso nulla della sua carica vitale, eppure…
Eppure, c’è in atto una pandemia che ci sta trasformando nell’intimo e non ne vediamo la fine; c’è in corso una crisi di governo che crea non poche preoccupazioni; ci sono le interruzioni pubblicitarie che sospendono la tensione del racconto e ci spingono a guardare altrove cosa sta succedendo.
E così «Made in Italy», rispetto alla prima lettura, diventa qualcosa d’altro: un misto di nostalgia per quegli anni ruggenti (non erano anni facili per le profonde tensioni sociali ma non veniva meno, nemmeno nei momenti più bui, l’idea di futuro) e di rimpianto per il paradiso perduto (dettavamo la moda nel mondo).
Quello che non va perduto è l’aver saputo cogliere la visione grande di quei protagonisti, l’aver raccontato il coraggio di chi è stato capace di inventare qualcosa che prima non c’era, l’aver acceso l’interesse internazionale per un Paese che rischiava il declino.