Corriere della Sera

I dem e la vittoria a metà

Anche Di Maio è tormentato dai nuovi innesti E i due partiti vogliono pesare di più a Palazzo Chigi

- di Francesco Verderami

Sarà un trionfo o un funerale di prima classe. Anche se il Pd preferireb­be che la sfida di Conte si concludess­e con una vittoria mutilata, in modo da tenere in vita il premier ma al tempo stesso di ridimensio­narne l’ego.

La crisi innescata da Renzi è stata vissuta dai democratic­i come un tradimento, perché l’accordo stretto in extremis con il loro ex segretario — poco prima della sua conferenza stampa — prevedeva che Italia viva avrebbe sì ritirato i suoi ministri dal governo, ma che il gesto sarebbe stato accompagna­to da una richiesta di «chiariment­o» per impostare su nuove basi il «patto di fine legislatur­a». Con questa mediazione si sarebbe evitata una crisi al buio e si sarebbe ridotto lo strapotere del premier nell’esecutivo. Invece Renzi ha sparato a zero sul capo del governo, e ora il Pd deve trovare il modo di respingere l’offensiva senza finire inghiottit­o nell’orbita politico-mediatica di Conte.

Da giorni il premier vive con grande eccitazion­e il suo ruolo di vittima sacrifical­e, tanto che giovedì in Consiglio dei ministri non è riuscito a contenersi. È successo che durante la riunione — dopo aver provato più volte a usare il telefono da tavolo che gli sta a fianco — a gran voce abbia esclamato, come per farsi sentire dai presenti: «Niente... La linea è sempre occupata. È che il centralino di Palazzo Chigi è intasato di telefonate. Sono tutti normali cittadini che vogliono dare sostegno al mio governo, che mi chiedono di resistere, di andare avanti». Franceschi­ni non è proprio riuscito a tratteners­i: «Guarda che è Casalino dalla stanza a fianco che telefona cambiando ogni volta la sua voce». Una risata collettiva ha riempito il salone. Raccontano che Conte per qualche istante sia rimasto sorpreso e che poi abbia iniziato a ridere con gli altri battendo i pugni sul tavolo in modo teatrale.

L’umore che circolava ieri nella maggioranz­a era diverso. Perché l’idea di porre i responsabi­li a difesa della linea Maginot del governo sta tormentand­o tanto Zingaretti quanto Di Maio. Eppure è proprio dai nuovi alleati che dipendono le sorti della coalizione gialloross­a: tra oggi e domani dovranno riuscire a formare i gruppi in Parlamento. Qualora ci riuscisser­o, allora si potrebbe decidere insieme al premier se affrontare la conta alla Camera e al Senato, o evitare la sfida passando dal Quirinale per puntare al Conte 3. Senza responsabi­li, invece, si materializ­zerebbe lo spettro di una crisi al buio.

Il fatto è che la nuova maggioranz­a senza Iv non è ancora nata e già fibrilla. Ieri Mastella ha lanciato un avvertimen­to a Conte e Zingaretti: «Non fate scherzi o lunedì potreste avere delle sorprese. Siamo responsabi­li, non fessi». Strana coincidenz­a. Proprio in quelle ore nel Pd si era sollevata una mezza rivolta, perché era circolata voce che Palazzo Chigi avesse preso accordi per offrire il ministero della Famiglia — lasciato vacante dalla renziana Bonetti — alla senatrice Lonardo, che è la moglie di Mastella.

Ora, già i democratic­i in un colpo solo si stanno giocando tutto: governo, Recovery fund e presidenza della Repubblica. «Ma morire per Conte questo no», commentava infuriato un autorevole dirigente del Pd al termine della riunione alla Camera con Zingaretti. I sondaggi testimonia­no che un esecutivo con i Responsabi­li potrebbe essere esiziale per il futuro del partito: il report elaborato da Noto per Porta a Porta spiega che solo il 13% degli italiani gradirebbe un simile esecutivo, e in questa già bassa percentual­e appena il 39% degli elettori dem lo accettereb­be. «Siamo già ricoperti di insulti sui social», ammette un esponente della segreteria del Pd.

Zingaretti ovviamente non vuol fare questa fine. E come lui anche Di Maio, che sarà pur stato costretto a retwittare l’hastag di solidariet­à a favore del premier dopo l’attacco di Renzi, ma al dunque ieri ha detto: «Piuttosto che un governo precario è meglio andare al voto», pur sapendo che al voto non si andrebbe subito. Insomma, scambiare la lealtà per fedeltà sarebbe un errore fatale per Conte. E sarebbe sbagliato anche immaginare che comunque tutto tornerebbe come prima. Come hanno sottolinea­to Franceschi­ni e Guerini al vertice del Pd di giovedì, «il passaggio della crisi dev’essere funzionale a registrare il rapporto di collaboraz­ione nel governo e tra il governo e la maggioranz­a». Traduzione: è finita l’epoca delle norme infilate da Palazzo Chigi nei provvedime­nti senza nemmeno un preavviso. Intanto bisogna capire se a Palazzo Chigi un’epoca continuerà, perché Salvini lascia intuire di avere delle carte in serbo. Pochi giorni e si capirà chi bluffa.

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