Militari, razzisti L’identikit dei rivoltosi
Tra gli arrestati diversi soldati e poliziotti, ma all’assalto al Congresso hanno partecipato anche un nuotatore oro olimpico e gente comune. Secondo la procura alcuni volevano uccidere i deputati
Sono i ribelli. Con origini e appartenenze diverse, rappresentano tutte le categorie sociali d’America. Hanno dato l’assalto al Congresso, convinti di essere derubati della vittoria elettorale. Imprenditori, operai, studenti, pensionati, soldati, pregiudicati, campioni sportivi, personaggi da circo, il figlio di un giudice. Volti anonimi fino ad un certo punto. L’Fbi ne aveva molti in una lista di persone ritenute pericolose perché parte del suprematismo. Ora li accusano con incriminazioni pesanti: lo «sciamano» Jacob Chansley voleva uccidere i deputati — afferma la procura — mentre 37 sono sotto indagine per la morte dell’agente.
Le divise
Una foto mostra una fila di uomini con elmetto, apparato radio, corpetto. Risalgono la scalinata, ognuno tiene la mano sulla spalla di chi lo precede. È modo tipico del training militare. Gli stessi si scambiavano segnali o comunicavano con il cellulare con una modalità walkie-talkie (grazie ad una app). Gli inquirenti sanno che tra i manifestanti c’erano tanti soldati e poliziotti. Il colonnello Larry Brock, 3 figli, razzista, aveva delle fascette con le quali — sospettano — poteva legare degli ostaggi. Nel gruppo anche il capitano Emily Rainey, veterana, missioni in Afghanistan, specialista in guerra psicologica. E poi alcuni agenti, di Seattle e del Maryland. Una delle cinque vittime, Ashli Babbitt, aveva invece servito nell’Air Force. La grande paura è che l’infiltrazione negli apparati della difesa sia profonda.
Gli armati
Lonnie Coffman, 70 anni, padre e nonno, lo hanno beccato sul suo Suv vicino al Congresso con un fucile e tre pistole. Cleveland Meredith, partito dal Colorado è arrivato in ritardo per colpa di un guasto all’auto, trasportava un arsenale. Aveva spedito messaggini zeppi di minacce deliranti. I familiari sostengono che abbia problemi mentali. Come ha raccontato un professore, che per motivi di studio si è mescolato alla folla, i dimostranti parlavano di uccidere come fosse una cosa di tutti i giorni. Un discorso ricorrente. «Queste persone sono determinate e useranno la violenza — ha scritto con efficacia —. Molti erano eccitati o esaltati dalla violenza e dalla possibilità di usarla ancora». Peter Stager, arrestato per aver bastonato un agente a terra, lo ha proclamato in un video: «La morte è l’unico rimedio contro quelli del Palazzo». Minacce finite negli atti della magistratura: c’era una volontà di rapire e assassinare in base ad un piano prestabilito. E si tengono d’occhio anche i miliziani di Boogaloo, con la passione per i fucili e le camice hawaiiane. Tra loro usano il neologismo boojahideen, versione bianca dei mujaheddin.
Gente comune
Alcuni sono affiliati a movimenti estremi, cospirativi, anti-immigrazione. Gli Oath Keepers, QAnon o i Proud Boys. È il caso di Robert Sandford, 56 anni, pompiere fino a pochi mesi fa e ora in pensione. Ha tirato un estintore contro le guardie. Richard Barnett, detto Bigo, 60 anni, è l’uomo sedutosi, piedi sul tavolo, nell’ufficio di Nancy Pelosi dove ha lasciato un biglietto di insulti. Si definisce un nazionalista bianco, «entrato in questo mondo scalciando e gridando coperto di sangue altrui e pronto ad uscirne allo stesso modo».
La stella
Klete Keller, 38 anni, medaglia d’oro olimpica, era nel team di nuoto con Michael Phelps. Lunga carriera sportiva, poi una brutta spirale. Divorzio dalla moglie, battaglia legale per la custodia dei figli, vita da senzatetto. Dormiva in auto e si lavava in una palestra. Quindi il lavoro nel real estate in Colorado. Dicono che con il crescere dei guai familiari abbia abbracciato posizioni radicali. Era alla Rotunda insieme agli altri eversori.
Derrick Evans è stato fino a pochi giorni fa deputato della West Virginia, noto per le sue campagne accese contro l’aborto. Un intemperante. «Siamo dentro», ha proclamato dal suo cellulare dopo l’irruzione. Lo hanno costretto a dimettersi.
I neonazi
C’è anche chi ha nostalgia del nazismo o dei suoi simboli più atroci. Robert Packer, fabbro della Virginia, indossa una maglietta con la scritta «Camp Auschwitz, il lavoro rende liberi». Gli amici spiegano che da tempo era furioso con il governo e lo Stato, sentimento condiviso dai protagonisti della marcia su Washington.
E ad ascoltare le loro chat in rete sono pronti a ripeterla il 20 gennaio, questa volta — avvisa la Fbi — portandosi dietro molte più armi.