Nove volte a Sanremo
Renga: «Il Festival è dentro di me, canterò un brano ispirato da mia madre, morì quando ero un ragazzo»
Icapelli se li è finalmente tagliati. Durante il primo lockdown Francesco Renga aveva promesso che si sarebbe tagliato la chioma solo quando si sarebbe tornati a cantare dal vivo. Ha giocato un po’ di anticipo. «Sanremo offre finalmente un orizzonte».
È il numero nove, dal debutto coi Timoria nel 1991...
«Credo di non aver saltato nemmeno un presentatore... Quello di quest’anno è un Festival a cui bisogna esserci, spero sia il segnale di ripartenza dopo un anno difficile».
Con grande ottimismo ha anche annunciato un tour a maggio...
«Anche questo è un orizzonte emotivo. Abbiamo di fronte un disastro economico. Conosco molte persone in sofferenza, baristi e ristoratori che non riapriranno più. Vedo rabbia e i “ristori” che non arrivano non aiutano... La musica e l’arte sono state abbandonate a se stesse. Però la bellezza, diceva Dostoevskij, salverà il mondo».
Il suo anno insolito?
«Ho traslocato quattro giorni prima del primo lockdown. Aprire gli scatoloni mi ha tenuto impegnato mentalmente ed emotivamente. Sono riaffiorati molti ricordi...»
Qualcosa è finito dentro le parole di «Quando trovo te», il brano in gara?
«Questa canzone parla proprio della potenza del ricordo e del potere salvifico dell’oblio. I ricordi che custodivo dentro sono esplosi in elementi emotivamente forti».
L’oggetto scatenante?
«A 17 anni scrivevo poesie. Ho ritrovato i quaderni che riflettono quel periodo pesante. Mamma stava male e poco dopo se ne andò. Quel fatto ha guidato l’approccio alle donne per tutta la mia vita».
Cosa le ha lasciato dentro?
«La sensazione di abbandono. A lungo ho pensato che la perdita fosse lo scotto da pagare per la felicità. Ho allontanato la felicità proprio per quella paura. Quando è nata la mia prima figlia ho capito che invece si mangia e si beve quando arriva. E che anche nelle piccole cose. Nella canzone traspare questo».
Musicalmente?
«C’è dentro tutta la mia carriera: la melodia e il canto, ma la collaborazione con Dario Faini e Roberto Casalino ha portato contemporaneità».
Al Festival è fra quelli con più anni di carriera...
«Sanremo è radicato dentro di me. Con la prima volta, avevo 21 anni, mio padre capì che facevo il cantante. E quando lo vinsi nel 2005 fu il momento in cui non si vergognò più del mio lavoro. I ragazzi che ci sono quest’anno rappresentano la freschezza dirompente di questo periodo della musica italiana. Mi ha colpito capire che per molti di loro sarà la prima volta davanti a un pubblico così grande».
Fa paura vedere che arriva una nuova generazione?
«Mi preoccupa di più come il sistema del business si sia adeguato senza scrupoli nei confronti di chi c’era da tempo. Però mi viene anche da ridere se penso a quando avevo io l’età dei miei figli e iniziavo a cercare la mia musica mentre papà ascoltava Del Monaco e mamma Battisti. C’è una generazione che ha paura e molti sono andati dietro a un nuovo immaginario rendendosi ridicoli e grotteschi, e forse ci sono cascato pure io. L’importante è non ripetersi, l’esempio è Bowie, ma evolversi rimanendo se stessi».
In un anno senza musica dal vivo ha fatto tv con «All Together Now». Bilancio?
«Mi ha salvato la vita in un momento di disperazione. Non avete idea di cosa abbia voluto dire avere persone vicine fisicamente... E senza la responsabilità che ho sentito a The Voice o Amici di creare o distruggere carriere con un giudizio».
Se i concerti rimanessero fermi ancora, il live streaming sarebbe un’opzione?
«Non riesco a immaginarmeli. Mi è piaciuto quello dei Negramaro, ma era la presentazione di un disco e non un vero concerto. Il concerto è sudore, errore, tensione, abbraccio, non può essere virtuale. È come la birra analcolica...».
A 17 anni scrivevo poesie, fu un periodo molto pesante per me La mamma stava male e poco dopo se ne andò
Quando vinsi all’Ariston nel 2005 per la prima volta mio padre non si vergognò più del mio lavoro