Le condizioni per dire un sì al governo
Noi, la Ue, le riforme Il presidente del Consiglio dovrebbe affrontare senza pregiudizi temi spesso elusi ma ineludibili
L’Italia è in guerra. Ha un comando e degli alleati. L’attende, non si sa quando, un dopoguerra molto difficile, dato che era entrata in guerra già in condizioni di debolezza cronica. In questo teatro, che cosa fa l’Italia? Il governo e la maggioranza (il comando) si sfaldano.
Il Parlamento pullula di onorevoli individui il cui trasformismo investe la stessa lingua italiana, offendendone parole assai degne, come «responsabile» o «costruttore». L’Unione Europea e i suoi Stati membri non erano stati mai (mai nella storia, si potrebbe dire risalendo nei secoli) alleati dell’Italia con tanto sostegno e generosità come in questa comune guerra alla pandemia. Ma da qualche giorno si chiedono se l’Italia, per la quale avevano pianto come noi vedendo quei camion militari con le bare di Bergamo, non sia tornata ad essere, pur nella tragedia di questa guerra, un Paese semiserio e non del tutto affidabile.
Il dubbio che si affaccia in Europa è se l’Italia sia in grado di stare nell’Ue come un Paese normale. Quando l’Ue, come è giusto in tempi normali, chiede a ogni Stato di contenere il disavanzo pubblico e non glielo finanzia creando moneta europea, in Italia molti strillano contro l’«austerità». Quando invece l’Ue, in tempi eccezionali di pandemia, dà enormi risorse europee agli Stati, più di tutti all’Italia, il nostro Paese sembra abbagliato da improvvisa ricchezza, si attarda in crisi politiche nelle quali l’interesse del Paese è al massimo una foglia di fico.
Se quel che è accaduto ora in Italia si fosse verificato qualche anno fa, prima che la Bce e altre banche centrali introducessero politiche monetarie ultra-accomodanti che offuscano la percezione degli squilibri sottostanti ritardandone la soluzione, che cosa sarebbe accaduto? Lo spread sarebbe schizzato a livelli tali da impaurire l’opinione pubblica e i politici, la crisi probabilmente non si sarebbe aperta oppure si sarebbe risolta in un paio di giorni, con il recupero del senso della realtà e forse con un governo di unità nazionale per affrontare rapidamente i veri problemi del Paese: in questa fase, soprattutto la mancanza di crescita, mentre crescono solo due cose, le gravi disuguaglianze e il debito pubblico.
A proposito di quest’ultimo, mi aspetto che il governo spieghi meglio agli italiani che oggi vi sono ragioni eccezionali per non curarsi troppo dell’aumento del debito, ma che probabilmente prima della fine di questa legislatura — cioè prima che abbia termine il governo che forse vedrà la luce nei prossimi giorni — cambieranno alcune cose nella Ue: in qualche forma, speriamo più corretta della precedente dal punto di vista economico, verrà reintrodotta una disciplina di disavanzi e debiti pubblici, e noi più di altri arriveremo a quell’appuntamento dopo l’impennata di questi anni ; inoltre, la «revisione strategica» della politica della Bce, che Christine Lagarde ha avviato, difficilmente permetterà di fare affidamento a lungo sulla possibilità di finanziare a costo zero il disavanzo italiano.
Diviene perciò importante porsi con urgenza il problema di quanto abbia senso continuare a «ristorare» con debito, cioè a spese degli italiani di domani, le perdite subite a causa del lockdown, quando per molte attività sarebbe meglio che lo Stato favorisse la ristrutturazione o la chiusura, con il necessario accompagnamento sociale, per destinare le risorse ad attività che si svilupperanno, invece che a quelle che purtroppo non avranno un domani.
Giuseppe Conte ha dato prova di notevole trasformismo. Così come per parte mia ho considerato un progresso, e la fine di un grave danno per l’Italia in Europa, la trasfigurazione dal primo al secondo governo Conte, questa volta auspico che il presidente Conte, se sarà in grado di formare un suo terzo governo, con o senza mutazioni nella maggioranza, decida di parlare più chiaramente agli italiani. Spieghi che la ricerca del consenso elettorale a tutti i costi è stata la principale causa della decadenza dell’Italia, perché di questo ormai si tratta.
Conte ha saputo a volte dimostrare la durezza necessaria nel gestire la crisi pandemica. Sia altrettanto duro nel tutelare un po’ gli interessi degli italiani delle prossime generazioni, difendendoli dalle pretese dei vari gruppi di interesse.
Avrei fiducia, e la manifesterei, in un presidente del Consiglio che, nel proporsi per una continuazione della sua esperienza di governo, annunciasse la necessità di esaminare senza pregiudizi temi scomodi, impopolari e spesso elusi, ma che tutti quelli che guardano da fuori l’Italia sanno essere ineludibili. Dica che il governo avvierà entro un mese alcuni pubblici dibattiti, che il governo stesso guiderà in modo aperto e trasparente, con audizioni di esperti e di rappresentanti degli interessi, e che concluderà con decisioni entro sei mesi, sui seguenti temi:
– Come ridurre le disuguaglianze e avvicinarsi all’uguaglianza dei punti di partenza (di tutte le «pari opportunità» abbiamo dimenticato proprio questa).
– Riforma fiscale, con adeguato spazio alle semplificazioni, a un Fisco «friendly ma non troppo» verso i contribuenti, alla necessità di salvaguardare la competitività; ma anche, senza pregiudizi in alcuna direzione, ai temi che solo in Italia sono considerati tabù, temi che tutti i partiti, pavidi, non osano neppure pronunciare: imposta ordinaria sul patrimonio, imposta di successione, imposizione sugli immobili e aggiornamento del catasto, imposizione sul lavoro, ecc. Ci si potrebbe avvalere, come punto di partenza, delle audizioni parlamentari svoltesi recentemente, in particolare di quella — meticolosamente non sovversiva, ma che non ha tabù — di Giacomo Ricotti della Banca d’Italia (11 gennaio 2021).
– Come accrescere la concorrenza e frenare le rendite di posizione. Grazie anche alla Commissione europea e all’attività nel tempo dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, si dovrebbero individuare molti nodi su cui intervenire, per eliminare vere e proprie «imposte occulte» che mercati poco concorrenziali o regolamentazioni pubbliche a protezione dei rentiers fanno gravare sui consumatori e utenti di servizi pubblici.
A questi esercizi di consapevolezza civile, che non esproprierebbero affatto governo e Parlamento del potere di decisione, ma li stimolerebbero e forse migliorerebbero la qualità delle decisioni, il governo dovrebbe invitare anche le opposizioni, per annodare anche con loro un dialogo sulla realtà delle cose, invece di dispute spesso vuote nelle quali si contrappongono sovente due modi diversi di non decidere.
Se Conte saprà parlare il linguaggio della verità e dirà chiaramente verso quale deriva rischiamo di andare tutti se ciascuno mira solo alla tutela degli interessi di parte anche quando sono legittimi, penso che ispirerà maggiore fiducia nei cittadini. E forse anche in Parlamento.
Visti da lontano Il dubbio è se l’Italia possa stare nell’Unione come un Paese normale