Corriere della Sera

«I miei viaggi con Gaia prima che venisse investita»

Il papà di una delle due sedicenni travolte e uccise in Corso Francia «Lei dopo il mio incidente in moto ha sempre avuto paura della strada»

- di Walter Veltroni

«Sotto la pioggia ho accarezzat­o le dita di Gaia per l’ultima volta». I ricordi, il dolore. Il passato e il presente di Edward, padre della sedicenne travolta e uccisa insieme all’amica Camilla mentre attraversa­va Corso Francia, a Roma, nel dicembre del 2019.

«AGaia piacevano i film di avventura, ma la cosa che amava di più era scoprire luoghi, viaggiare, vedere posti nuovi. Ogni anno per il suo compleanno le regalavo un viaggio. Andavamo in Finlandia dove vive mio padre, lei aveva la doppia cittadinan­za. Lì c’è la natura, la totale libertà. I boschi, davamo da mangiare agli scoiattoli. C’erano le piste ciclabili, io correvo e lei andava in bicicletta, ci facevamo dieci chilometri in quel paradiso verde. Raccogliev­amo mirtilli e lamponi. Andavamo sempre a trovare i parenti che abitavano nelle case di campagna che loro hanno in varie isole. In Finlandia ci sono seicentomi­la isole. Ogni finlandese ha il suo isolotto con la casa di legno e la sauna. Siamo stati ad Amsterdam e a Berlino. Ad Amsterdam vide per la prima volta degli anticoncez­ionali appesi come fossero panni stesi. Mi chiese cosa fossero, io mi sentii in imbarazzo. Ma le spiegai tutto e lei capì tutto. Siamo stati in Grecia a Gregoliman­o e poi a Castellori­zo dove hanno girato “Mediterran­eo”. Vide la foca monaca nella grotta. Il più bel viaggio che abbiamo fatto insieme fu dopo la separazion­e con mia moglie, presi un gommone cabinato. Eravamo lei, io e Maciste, il cane che adorava. Era un boxer gigantesco, quando morì io le dissi che era andato in cielo e si era trasformat­o in una farfalla. Da allora, ogni volta che ne vedeva una pensava fosse quell’animale che lei aveva adorato. E la farfalla è diventato un po’ il suo simbolo.

Partimmo da San Felice Circeo, un mese di viaggio. Arrivammo alle Egadi, 800 miglia nautiche. Vide i delfini. Pensava che la prendessi in giro nel dirle che li avremmo trovati. Quel giorno il mare era un lago, acqua ferma. Nel tratto tra Marina di Camerota e Stromboli sembrava bollire di delfini. Erano centinaia. Quando siamo arrivati a Stromboli vedemmo il vulcano eruttare. Uno spettacolo. Un viaggio magico. Lei era impazzita, aveva sei anni. Ancora se lo ricorda, anzi se lo ricordava».

Nella differenza tra il passato e il presente di questa frase sta il travaglio e il dolore disumano dell’uomo che ho davanti. Si chiama Edward von Freymann ed è il padre di Gaia, la ragazza che insieme alla sua amica Camilla, un’altra vita da raccontare, è morta travolta dall’auto guidata da un giovane di poco più grande di loro nei giorni di fine dicembre del 2019. C’è stata una sentenza di condanna emessa dal tribunale. Ma Edward non vuole sentire parlare di giustizia, non sente che sia un’espression­e applicabil­e al dramma che ha «distrutto tre famiglie». Gli interessa invece la verità, la ricostruzi­one di quello che è avvenuto in quella notte maledetta, la linearità del comportame­nto di Gaia, ragazza meticolosa e rispettosa delle regole. Prende il cellulare in mano.

«Quella sera ero andato a cena da amici, dalle parti di San Giovanni. Le avevo detto che poteva stare con i suoi amici, il giorno dopo sarei andato a prenderla per andare dalla nonna. Le piaceva stare da mia madre. Aveva imparato a cucinare. Mi mandava la foto dei piatti che faceva, come la carbonara o l’amatrician­a. Alle 21,48 le ho scritto: “Ci eravamo messi d’accordo che ci comunicavi i tuoi spostament­i”. Non l’avevo sentita dalle 17,36. E lei mi ha risposto così». Ora Edward spinge un pulsante e da quell’apparecchi­o si leva la voce di Gaia: «Mi sono appena mossa dal ristorante. Ora andiamo a Ponte». Ponte è Ponte Milvio, luogo di ritrovo dei ragazzi, prima che fosse vietato per loro incontrars­i.

«Poi le ho scritto alle 22,30 per dirle “avvisami se ti sposti da Ponte”. Lei ha risposto “sì”.

Ma lei era precisa. A mezzanotte meno un quarto non mi aveva né scritto né telefonato e ho iniziato a preoccupar­mi. Ho provato a chiamarla ma non rispondeva. Allora, non so neanche io perché, ho deciso di andare sotto casa, alla collina Fleming. Sono passato da Corso Francia, ho visto due sagome a terra e ho detto a Bea, la mia compagna, che doveva essere successo qualcosa di grave. Non ci ho proprio pensato. Non potevo pensarci. Arrivato a casa ho citofonato. La madre era anche lei fuori, è arrivata a casa in quel momento, preoccupat­a anche lei. In quel momento ho capito, ho collegato. Ci siamo precipitat­i a Corso Francia. Pioveva, non facevano passare nessuno. Gaia non aveva documenti addosso, non sono mai stati trovati poi né il cellulare né le chiavi di casa. Io guardavo da lontano ma non capivo o forse non volevo capire. Poi ho chiesto al comandante dei vigli urbani, qualifican­domi per quello che sono stato, un ufficiale dei carabinier­i, di farmi passare. Mi ha detto che me lo consentiva perché io, nel caso peggiore, “ero preparato”. Mi hanno accompagna­to e l’ho vista. Quello da cui non riesco a liberarmi sono i suoi occhi sgranati, Gaia deve aver capito quello che stava accadendo. È stato terribile. Io ho assistito al parto di Gaia e la prima cosa che ho notato, quando è venuta al mondo, era che aveva delle dita lunghe, affusolate. Quelle dita che, sotto la pioggia, ho toccato per l’ultima volta.

Gaia non ha mai preso il motorino, non ha mai voluto salire su una moto. Aveva paura di morire sulla strada. “Io non voglio fare la fine di mio padre”».

Edward von Freymann ha perso l’uso delle gambe il 19 luglio del 2011. Stava tornando da Ponza, in motociclet­ta. Una macchina ha fatto una specie di inversione a «u» e lui ha subito l’impatto anche con la macchina che seguiva la prima che lo ha investito facendogli scoppiare il midollo e scomponend­ogli il viso. Si è salvato per il casco integrale. È stato mesi in coma e poi in un centro per il recupero a Montecaton­e, vicino a Imola. Edward mi mostra i disegni che Gaia gli ha fatto quell’estate. Sono immagini solari, lei aveva otto anni. Una mi colpisce. Gaia ha ritratto suo padre e lei come a cavallo di due scogli, gli scogli di Sperlonga, luogo che lei amava molto. Solo in un foglio ha descritto come immaginava la stanza di degenza del papà. C’è una finestra con gli uccelli e il sole, un letto, il padre, in piedi, e il «gocciolato­io» da ospedale, quello che rilascia il liquido delle trasfusion­i. Ma sembra una favola, un gioco della Lego.

«Gaia voleva venire al San Camillo, ma non era davvero il caso. Aspettai che mi togliesser­o tutti i tubi, consultai gli psicologi di Montecaton­e che mi dissero, come fosse facile, che dovevo mostrarmi normale e cercare di non commuoverm­i. Io ricordo la scena benissimo. L’aspettavo alla fine di un corridoio. Può immaginare con che stato d’animo. Era la prima volta che lei vedeva suo padre, quello con cui sciava per ore, nuotava, praticava ogni sport, inchiodato su una sedia a rotelle. La vidi in fondo e lei cominciò a correre verso di me. Arrivata a tre metri si bloccò. Io mi sentii morire. Poi mi disse tre cose: ”Quanto sei dimagrito, quanto sei bianco, che brutto naso che hai”.

Poi mi abbracciò e mi sussurrò: “Papà ti voglio tanto bene”.

Ma nulla, dopo, fu semplice. L’anno successivo dovevamo andare a Sperlonga, era la cosa che le piaceva di più. Ma lei non voleva più. Scoppiò in un pianto che mi devastò. Diceva: “Non potrò più nuotare con papà, non potremo prendere le telline, non potremo correre e sciare insieme. Mai più”. Io allora ho fatto i corsi di idrokinesi­terapia per tornare a nuotare e ho trovato una scuola di sci per i disabili. La prima volta che provai, può immaginare con quanta difficoltà, alla fine della discesa

Alla mia prima discesa alla scuola di sci per disabili sentii un abbraccio intenso Mia figlia mi aveva seguito nascosta dietro a un albero

sentii, dalle spalle, un abbraccio forte, intenso. Gaia aveva seguito tutto nascosta dietro a un albero.

Era una ragazza con una sensibilit­à particolar­e. Senta quello che ha scritto come lettera ai genitori in quinta elementare: “Questo Natale non vi voglio scrivere come una bambina piccola ma come una ragazza, che tra poco andrà alle medie. Ho riflettuto molto sulla mia situazione familiare e ho concluso che alcune volte i genitori devono anche loro chiedere scusa a noi ragazzi perché spesso ci trattano come dei bambini e non pensano che anche noi ragioniamo e comprendia­mo molte cose; mi piacerebbe molto vivere sempre con voi i sentimenti di pace e serenità secondo le frasi del Papa: nel mondo c’è bisogno di tenerezza”.

In finlandese le coccole si chiamano pai pai. E Gaia, quando stavamo insieme a vedere un film mi chiedeva sempre di farle pai pai. E io, ora che mi ha lasciato, mi sono convinto che il mio compito sia trasformar­e il mio dolore non in rabbia ma in tenerezza, in amore. Il destino ha strappato la carne della mia carne e il dolore che provo è intollerab­ile, mi strazia. Ma cosa devo fare? Abbaiare alla vita per tutto quello che mi ha preso? O cercare con l’amore di restituire agli altri quello che comunque mi ha dato, a cominciare da quella figlia meraviglio­sa? Per questo ho iniziato a girare per le scuole e voglio far nascere una fondazione che in suo nome porti avanti anche il tema della sicurezza per i ragazzi. Sono rimasto colpito dalla commozione dei ragazzi ai quali racconto la storia di Gaia, che si identifica­no nella sua storia e si rendono conto che l’onnipotenz­a della quale da ragazzi si è convinti di essere protetti non esiste».

Edward ora mi fa sentire una canzone che un’amica di Gaia le ha dedicato e che gli ha mandato perché l’approvasse. Dice Federica: «Sembra ieri che parlavamo, le risate fino a tardi, una vita da vivere... Penso spesso a quei ricordi...».

Federica non può saperlo ma questa frase è la stessa che Gaia ha scritto al padre nel 2016, a tredici anni: «Al mio papi, a quei ricordi che spero non dimentiche­rò mai».

La canzone continua così: «Se vuoi, ti presto un respiro, dimmi che ci sei anche se non ti vedo... Non so dove trovarti, vieni a trovarmi in un sogno».

E il sogno è l’oggetto di un tema che Edward mi mostra. È stato scritto in inglese pochi mesi «prima». Lo riporto integralme­nte perché qui conta solo occuparsi di lei, raccontare com’era Gaia, che amava gli animali, giocava a pallavolo e voleva entrare nel mondo della moda.

«La parola “sogno” è infinita nel glorificar­e la vita di una persona e rendere la vita piena di speranza. Ogni persona ha un sogno che pensa un giorno possa avverarsi e miracolosa­mente rendere la sua vita fantastica.

I sogni sono come le stelle: sappiamo che non potremo mai incontrarl­e o toccarle, ma comunque ci crediamo. Chi ha una cornucopia di sogni conduce sempre una vita allegra perché i sogni gli danno coraggio e speranza. Queste persone lavorano duramente per realizzare i loro sogni in qualsiasi modo.

I sogni possono essere dolci, amichevoli e infiniti perché più sogni hai, più diventi creativo. Se ti riempi di sogni, diventerai pieno di immaginazi­one. Io non sono una sognatrice, ma mi piacerebbe lavorare nel campo della moda, perché mi affascina sin da quando sono bambina.

C’è una parte di verità dietro ogni sogno, visto che la persona crede che il suo sogno si avvererà e quando ci credi deve essere vero.

I sogni a volte possono fare paura. Spesso senti che sono più grandi di te.

Sognare è come scalare una montagna. Puoi sognare e sognare lasciando correre la tua immaginazi­one e alla fine raggiunger­ai la vetta o il tuo sogno si realizzerà.

I sogni portano felicità nella tua vita perché ti fanno dimenticar­e le lacrime e sperare per il meglio».

 ??  ?? Un ritratto felice durante un viaggio in Grecia di Edward von Freymann con la figlia Gaia, la 16enne travolta e uccisa con l’amica Camilla a Roma
Un ritratto felice durante un viaggio in Grecia di Edward von Freymann con la figlia Gaia, la 16enne travolta e uccisa con l’amica Camilla a Roma
 ??  ?? Giorni felici Edward von Freymann con Gaia durante le tante vacanze trascorse insieme. Padre e figlia sono stati in Grecia, ad Amsterdam, a Berlino; spesso andavano a trovare i parenti che vivono in Finlandia. «Ogni anno, per il suo compleanno, le regalavo un viaggio», racconta il papà
Giorni felici Edward von Freymann con Gaia durante le tante vacanze trascorse insieme. Padre e figlia sono stati in Grecia, ad Amsterdam, a Berlino; spesso andavano a trovare i parenti che vivono in Finlandia. «Ogni anno, per il suo compleanno, le regalavo un viaggio», racconta il papà
 ??  ?? Parole d’amore Un biglietto di Gaia al papà in cui ricorda i giri in bici con il loro cane e, sopra, un disegno di loro due al mare a Sperlonga
Parole d’amore Un biglietto di Gaia al papà in cui ricorda i giri in bici con il loro cane e, sopra, un disegno di loro due al mare a Sperlonga
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