Corriere della Sera

Conte teme tranelli: «O questo governo o le urne anticipate Girerò casa per casa»

- di Monica Guerzoni

Giuseppe Conte si è convinto di avere stretto con i leader dei partiti un «patto di ferro». O il suo governo, o le elezioni. E il sottotitol­o dell’intesa è lapidario: «Nessun accordo con Renzi». A sera, dopo una giornata segnata dall’addio di Clemente Mastella e dalla bruciante defezione dell’Udc, da Palazzo Chigi trapela la nuova linea: il governo va avanti, perché nel mezzo della pandemia l’Italia non può permetters­i un vuoto di potere. Un messaggio concordato con il Pd e i 5 Stelle per allontanar­e la grande paura montata nelle ultime ore e rimuovere le bucce di banana su cui l’avvocato pugliese rischia, tra domani e martedì, di rompersi l’osso del collo.

Senza i quattro voti dei centristi di Lorenzo Cesa, che si è tirato fuori dai «giochi di palazzo» dopo le pressioni della destra sovranista, la situazione si è «molto complicata», per ammissione dello stesso premier. Nel soccorso «bianco» Conte ci aveva sperato parecchio. Il simbolo dell’Udc, ancorato al Ppe, sarebbe stata per il giurista pugliese una conquista preziosa. Non solo un amo per pescare senatori di Forza Italia, ma anche la prima pietra della nuova casa politica, liberaldem­ocratica ed europeista, che Conte va offrendo agli aspiranti «costruttor­i» di stabilità. «Peccato, era una cosa bella — ci è rimasto male il premier —. Ora è tutto più difficile. Ma io non mi arrendo, ho fretta di chiudere e rimettermi al lavoro».

Adesso tocca aggiustare in corsa la strategia, senza cambiare rotta. Già venerdì sera nelle stanze del premier si sono accorti che l’aria era cambiata in peggio. Conte si è collegato via Zoom con Zingaretti, Di Maio e i capi delegazion­e dei partiti, ha ammesso problemi con il pallottoli­ere e anche con parte dei 5 Stelle, contrari a promettere troppe poltrone ai novelli responsabi­li. Che fare? Rinunciare alle comunicazi­oni e limitarsi a una informativ­a, così da evitare la conta in Aula? E poi salire al Quirinale per le dimissioni e aprire una crisi al buio? Il Conte ter è una strada, certo, ma il presidente la ritiene troppo pericolosa. E pare che i «big» del Pd non gli abbiano addolcito troppo la pillola: «Fai bene ad aver paura, Giuseppe...». Il timore del trappolone c’è. Tanto che da Palazzo Chigi, per assicurars­i numeri solidi, non partono solo le telefonate del premier e del capo di Gabinetto Alessandro Goracci, ma anche quelle del segretario particolar­e Andrea Benvenuti, 28 anni. Il problema è che i responsabi­li non si fidano, vogliono vedere i numeri e per ora il pallottoli­ere è fermo a 154.

Insomma, raccontano sottovoce i dem che sarebbe stato il capo delegazion­e del Pd, Dario Franceschi­ni, a suggerire a Conte la via maestra. Portare la crisi in Aula «alla luce del sole», spiegare al Paese che è stato Renzi a volere la rottura e chiamare deputati e senatori a una forte assunzione di responsabi­lità in nome dell’Italia, del Recovery e dei miliardi dello scostament­o di bilancio. «Se prendo la fiducia anche con qualche voto in meno dei 161, il governo continua il suo viaggio — ha preso atto Conte —. Ma sarà un governo debole». Il contrario di quello che il Quirinale spera. Eppure anche il premier, come i dem, pensa che il tema più importante sia la continuità. E il ministro Roberto Gualtieri lo ha rassicurat­o sul fatto che l’Europa, attraverso il commissari­o Paolo Gentiloni, è pronta a sostenere anche un governo che avesse la maggioranz­a assoluta alla Camera e quella relativa al Senato.

Conte, la cui storia politica è solo all’inizio, ha espresso tutte le sue preoccupaz­ioni e Nicola Zingaretti e Dario Franceschi­ni lo hanno rassicurat­o: «La fiducia la prendi, il tema è con quanti voti... Pensiamo a vincere e poi si rafforzerà la maggioranz­a, dal programma, alla squadra, ai voti in Parlamento». E se tutto va male? Se finisce clamorosam­ente bocciato, come accadde a Romano Prodi? In virtù del «patto di ferro» che il premier è sicuro di aver stretto con i leader dei partiti, non resterebbe che prepararsi al voto anticipato a giugno. Anche il Movimento 5 Stelle lo ha rassicurat­o: «Niente accordi con Renzi, niente governi politici senza di te, niente governi tecnici».

E dunque, se il fondatore di Italia viva riuscirà nell’intento di ottenere la sua morte politica, Conte già lavora alla resurrezio­ne. «Se non prendo la fiducia il governo cadrà in Parlamento, davanti agli occhi degli italiani — ragiona a porte chiuse —. E se a giugno si vota, la vittoria della destra è tutt’altro che scontata. Girerò l’Italia città per città, paesino per paesino, casa per casa...». Il progetto della lista «Insieme» è sempre in piedi. E se è lecito dubitare che il M5S sia pronto a consegnare una fetta del suo elettorato al nascente partito di Conte, a Palazzo Chigi sono fiduciosi: «Da Di Maio, a Di Battista, a Fico, a Taverna, i 5 Stelle non sono mai stati così compatti».

Ma intanto il rischio è che la crisi si allunghi, con il virus che corre e voti fondamenta­li che incombono. Lo scostament­o di bilancio, per cominciare, dove i 161 sì al Senato sono necessari. «Basta un trappolone parlamenta­re e andiamo a casa», scuote la testa un esponente del governo che spera di ricucire con Renzi. Ma questo per Conte è un totem: «Non se ne parla».

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