SE GLI USA RIPIEGANO, L’EUROPA RISCHIA
C’era una volta l’imperialismo americano. Da più di dieci anni, però, la proiezione internazionale degli Stati Uniti è in ritirata e in questo 2021 il ripiegamento della superpotenza dalla leadership globale si annuncia esorbitante. Tanto da aprire la porta a pericoli di conflitti violenti: come si è visto in tempi recenti e spesso nella storia, quando la potenza dominante non garantisce più l’ordine internazionale, altre Nazioni si affrettano a colmare il vuoto di potere che lascia e inizia una gara tra chi vuole affermare la propria egemonia. Su scala mondiale o su scala regionale. I rischi di guerra aumentano in misura considerevole.
È dal crollo dell’Unione Sovietica, all’inizio degli anni Novanta, che gli Stati Uniti hanno una politica estera ondivaga. Ma è più di recente che hanno iniziato a chiudersi in se stessi, con le presidenze di Barack Obama e poi di Donald. Oggi, Joe Biden si trova in una condizione di enorme difficoltà a disegnare una strategia estera di qualsiasi genere. Nei mesi scorsi, lui e il suo nuovo team hanno proposto un rilancio dei rapporti con i partner di sempre, in Europa e in Asia. L’assalto a Capitol Hill il 6 gennaio ha però distrutto buona parte della possibilità di prendere iniziative internazionali serie. Con quasi due terzi degli elettori repubblicani convinti che le elezioni presidenziali siano state truccate, l’impegno primo di Biden non può che essere tutto interno, un tentativo di pacificazione che non sarà breve. «Come sempre, ogni politica estera inizia in casa», ha ricordato in questi giorni Richard Haas, uno dei diplomatici americani più ascoltati. Con gli Stati Uniti in un caos politico che potrebbe crescere nelle prossime settimane, il focus sarà tutto domestico.
Il primo a inserirsi nel quadro internazionale in pieno disordine e con Washington distratta è stato il leader supremo nordcoreano Kim Jong-un, che ha minacciato gli Stati Uniti di volere sviluppare una non precisata nuova strategia, probabilmente nucleare. Il momento di debolezza americano è però stato registrato ovunque, da Pechino a Mosca: un’America vincolata dalle sue gravi faccende interne offre occasioni. La Cina di Xi Jinping è ogni giorno più assertiva in quella che considera la sua sfera d’influenza: Hong Kong, le basi nel Mare Cinese Meridionale, l’ostracismo punitivo contro l’Australia, le tensioni di confine con l’India. Molti analisti si domandano ora che intenzioni abbia Xi nei confronti di Taiwan, l’isola che Pechino vuole da sempre riportare sotto il proprio controllo: il presidente cinese ha chiarito che la situazione non va lasciata in eredità alle prossime generazioni. Una pressione cinese maggiore su Taiwan, per non dire un intervento diretto di qualche tipo, metterebbe in enorme difficoltà Washington e terminerebbe la politica americana di «ambiguità strategica» nei confronti della difesa dell’isola: rispondere, con enormi rischi, oppure consegnare di fatto una vittoria a Pechino che cambierebbe tutti gli equilibri in Asia, metterebbe in crisi il Giappone e stenderebbe l’ombra della Cina anche sull’Europa?
La capacità di Vladimir Putin di effettuare azioni opportuniste quando vede un vuoto di potere è conclamata. La si è vista in Ucraina, in Siria, in Libia. Dalla Bielorussia al Medio Oriente, l’uomo forte di Mosca approfitterà di ogni spazio concesso dall’assenza americana per conquistare posizioni d’influenza. E più liberi dal rispettare un ordine disegnato da Washington si sentiranno altri «uomini forti», da Recep Tayyip Erdogan in Turchia agli ayatollah iraniani, da Abdel Fattah al Sisi in Egitto a Nicolás Maduro in Venezuela.
In questa ulteriore instabilità e di fronte ai pericoli crescenti di guerre e di guerre civili, l’Europa ovviamente non può permettersi di stare a guardare. E di non riconoscere che le minacce vere non vengono dagli Stati Uniti — dove la politica è straordinariamente divisa ma dove la democrazia ha tenuto —, vengono dagli autocrati. L’alleanza con gli Stati Uniti, pur nelle loro convulsioni, è ancora la sola possibilità che l’Europa ha di difendere i propri valori, le proprie istituzioni e la propria economia, forse più di ieri. Segnali di amicizia diretti all’America farebbero bene anche a Washington. La presidente Ursula von der Leyen aveva promesso che la sua sarebbe stata una Commissione geopolitica. Finora non ce n’è stata traccia, anzi l’accordo sugli investimenti appena raggiunto con la Cina fa pensare che la Ue continui a ritenere che nel gioco delle grandi potenze di oggi si possano fare affari indipendentemente dalle scelte politiche. Ammettere che non è così è più che importante, ormai è vitale.