La Consob svela il piano Mps Nel 2021 perdite per 562 milioni
Utili solo dal 2022 in poi. A patto che venga realizzato l’aumento di capitale
Quasi un mese dopo la sua approvazione formale da parte del board il 17 dicembre, il Montepaschi pubblica su richiesta della Consob il piano industriale «stand alone». Il piano tuttavia non è ancora «definitivo» perché deve essere approvato da Commissione Ue (DgComp) e Bce, dato che richiede capitali freschi dal Tesoro, socio al 64%.
La banca senese guidata dallo scorso maggio da Guido Bastianini ha reso noto venerdì notte il piano in seguito alle indiscrezioni pubblicate da Repubblica. La stima è di un ritorno sul capitale superiore al 6% nel 2025. Il 2021 chiuderà in perdita per 562 milioni, a causa di oneri di ristrutturazione legati, in particolare, ai 2.670 esuberi (da qui al 2025) e agli impatti per il Covid. Mps evidenzierà un lieve utile nel 2022 (41 milioni) che salirà a 559 al 2025. Naturalmente il piano è legato all’aumento di capitale, senza il quale la banca non può andare avanti.
Il capital plan da 2-2,5 miliardi sarà deciso il 28 gennaio, ma il piano Mps è costruito su 2 miliardi di aumento. È su quella cifra che si gioca tutto. «Credibile» lo ha giudicato ieri Giuseppe Bivona, partner di Bluebell, advisor di alcuni fondi in causa con Mps e consulente ascoltato nel M5S. «Il piano dimostra come non sia affatto conveniente per gli azionisti di Mps favorire oggi un’operazione di aggregazione» e per questo motivo sarebbe «stato tenuto nascosto da chi ha come unico obiettivo» le nozze con Unicredit.
Il problema sta nel fatto che né la DgComp né la Bce lo hanno ancora approvato. Anche il Tesoro non considererebbe il piano realizzabile. Tra le altre cose, nel piano il Pil 2021 è stimato in crescita del 5,3% ma Bankitalia prevede solo un +3,5%. Da qui la spinta a un’aggregazione, per la quale viene predisposta una dote che si aggirerebbe sui 6 miliardi di euro per l’acquirente tra crediti fiscali, quota di aumento, garanzia sulle cause legali e acquisto degli npl dell’acquirente da parte di Amco.
Non a caso la stessa Mps, non più tardi di sei giorni fa, ha fatto sapere con una nota ufficiale che si valutano anche queste opzioni strategiche. Insomma, una fusione sarebbe necessaria, perché altrimenti potrebbe essere più complesso per il Tesoro ricevere l’autorizzazione a sottoscrivere pro quota l’aumento di capitale. In teoria il Tesoro, secondo alcune interpretazioni, potrebbe farsi autorizzare dalla DgComp la sottoscrizione dell’aumento relativo alla copertura dei nuovi crediti deteriorati, per circa 1-1,5 miliardo di euro, senza incappare nel cosiddetto «burden sharing», cioè l’azzeramento dei bond subordinati, grazie alle eccezioni agli aiuti di Stato introdotte per l’emergenza Covid. Ma il resto andrebbe trovato sul mercato o con altri strumenti finanziari. Bastianini punterebbe così a guadagnare tempo. Ma da un lato la cifra dell’aumento dipenderà da quanto Bce riterrà necessario; dall’altro, resta pendente la spada di Damocle dei 10 miliardi di cause legali, in gran parte legate ai processi agli ex vertici (si attendono ancora le motivazioni della condanna di primo grado ad Alessandro Profumo e Fabrizio Viola che aiuterebbero a pesare meglio gli accantonamenti). Ma soprattutto il Tesoro non vuole tenere aperto con Bruxelles anche il dossier Mps.
L’innesto del Credit Suisse come advisor accanto a Mediobanca servirà così a ampliare la ricerca di un eventuale acquirente sia a banche italiane (Banco Bpm e Bper) e a straniere. Finora al tavolo c’è solo Unicredit; il processo è rallentato dalla ricerca del nuovo ceo di piazza Aulenti. «La Bce ha le idee molto chiare e l’integrazione e il salvataggio di Mps li vuole a ogni costo e al Mef pensano esattamente allo stesso modo», ha detto il segretario della Fabi, Lando Sileoni a Class-Cnbc. Non essendoci «all’orizzonte altre soluzioni, prima questa soluzione si concretizza e meglio sarà per tutti».