«Sì all’Europa contro i nazionalismi» Il manifesto di Conte in cattedra
Il ritorno all’Università di Firenze. E difende le scelte del suo governo contro la pandemia
A un mese (preciso) dall’addio a Palazzo Chigi, Giuseppe Conte torna in cattedra. La sua, quella di professore ordinario di Diritto privato presso la Scuola di Giurisprudenza dell’Università di Firenze. Un ritorno al mondo accademico, con una lectio magistralis intitolata: «Tutela della salute e salvaguardia dell’economia. Lezioni dalla pandemia». Venti pagine e un’ora, intensa, di lezione, durante la quale l’ex premier ha ripercorso le tappe dell’emergenza, sempre in bilico tra la gestione di un Paese impaurito e stremato e la necessità di garantire la tutela dei diritti fondamentali della Costituzione: «Un bilancio esaustivo lo darà la storia».
Per capire se il ritorno accademico di Conte sarà più meno stabile bisognerà però attendere: per ora terrà lezioni, seminari e conferenze. Quindi non un ritorno a tempo pieno. Il professore ha infatti davanti a sé tre strade: quella da nuovo leader di un Movimento più europeista (e assai meno populista); quella più complicata di proporsi come federatore di un ipotetico nuovo Ulivo tenendo assieme M5S, Pd e ala sinistra; e infine quella di tornare a tempo pieno tra l’università e il suo studio legale a Roma. Se le prime due opzioni sono politicamente delicate e complicate, è anche difficile che Conte imbocchi a cuor leggero il terzo sentiero: troppo forte è diventata la sua passione politica.
L’ex premier, durante la sua lezione, ha sì calcato molti aspetti tecnico-giuridici nella gestione della pandemia, ma verso la fine si è soffermato sull’europeismo. Una visione distante da quella che enunciava
Il percorso
Il bilancio
da «avvocato del popolo». Ora la bussola punta altrove, verso «un europeismo critico, non fideistico» con l’obiettivo di rafforzare l’Ue e «fermare l’ascesa di nuovi nazionalismi». Conte ha evocato poi la necessità di «potenziare il ruolo del Parlamento europeo», prevedendo anche «l’elezione diretta degli organismi», come appunto un presidente del Consiglio europeo. E ancora: «L’europeismo non è una moda. Il modo migliore per contrastare i ripiegamenti identitari è lavorare con lungimirante concretezza per rafforzare l’affidabilità della casa comune europea: altrimenti, quando il vento cambierà e torneranno a spirare i venti nazionalisti, sarà molto complicato riuscire a contrastarli con la forza di soluzioni solide ed efficaci».
Attenzione è stata poi dedicata alla lotta al cambiamento climatico. Insomma: quasi un manifesto politico da leader, di stampo progressista.
Riavvolgendo il nastro all’inizio della pandemia, Conte ha ricordato le forti difficoltà a redigere il primo piano d’emergenza, soprattutto a causa della «inattendibilità delle notizie che arrivavano dalla Cina». Nei momenti più drammatici, l’ex premier ha poi spiegato il motivo per cui non ha mai inteso utilizzare il «potere sostitutivo», previsto dall’articolo 120 della Costituzione in casi speciali per rilevare le funzioni attribuite alle Regioni, optando per la concertazione dei provvedimenti.
Conte ha infine rivendicato la linea politica perseguita, ovvero quella del contenimento del virus come priorità: «La tutela della salute ha consentito di difendere meglio anche il tessuto produttivo. Le economie più resilienti si stanno dimostrando quelle in cui sono state introdotte adeguate misure anti contagio, con interventi di sostegno a famiglie e imprese».
Un déjà vu, quello di ritrovarsi a gestire l’emergenza da premier: «Ho avuto conferma anche dell’importanza di avere studiato tanto, di avere fatto buone letture — ha confidato agli studenti —. Quando è scoppiata la pandemia, da subito, sono riandato con la mente a pagine lette molti anni addietro, alle pagine de La Peste di Camus, dei Promessi sposi di Manzoni, alle pagine di Cecità di Saramago».
L’europeismo non è una moda. Il modo migliore per contrastare i ripiegamenti identitari è lavorare con concretezza per la casa comune
La tutela della salute ha consentito di difendere meglio anche il tessuto produttivo. Ma sul Covid il bilancio esaustivo lo darà la storia