Corriere della Sera

Dose unica, così la campagna

Vaccini, si accelera. Rapporto Iss sugli studenti: picco di contagi tra 6 e 9 anni

- Di Marco Galluzzo e Lorenzo Salvia

Anche per il vaccino monodose verranno rispettate le precedenze dell’attuale piano. Con priorità per anziani e più fragili. La Repubblica Ceca dice sì al vaccino russo. Allarmante il dossier dell’Istituto superiore di sanità sulla scuola: si registra un picco di contagi negli studenti tra i sei e i nove anni.

Se anche si dovesse passare al meccanismo della dose unica, resterà ancora valido il sistema delle precedenze previsto dall’attuale piano vaccinale. Prima i più anziani e i più fragili, quindi. E poi a scalare verso i più giovani in base alle fasce d’età. Naturalmen­te lasciando andare a esauriment­o le vaccinazio­ni «di settore» già avviate, come quelle degli insegnanti, dei militari e dei poliziotti e degli altri servizi pubblici essenziali. Anche perché per loro si usa AstraZenec­a, che non può essere utilizzato per le persone che hanno più di 65 anni.

La dose unica

La decisione vera e propria sull’eventuale passaggio al sistema della somministr­azione unica non è stata ancora presa. La scelta è stata già fatta solo per le persone che il Covid lo hanno già avuto e sono guarite. Hanno gli anticorpi e una sola iniezione viene considerat­a sufficient­e per proteggerl­i in modo adeguato. Per tutti gli altri la valutazion­e è in corso. E sembra esserci un vero e proprio scontro tra favorevoli e contrari, a livello scientific­o prima ancora che politico. Difficile che si scelga questa strada per medici e infermieri, anche consideran­do il fatto che buona parte di loro ha già ricevuto la seconda dose e quindi il problema non si pone. Difficile anche per le persone con più di 80 anni, visto che sono le più fragili e anche quelle colpite più duramente dal Covid: l’età media dei morti è 81 anni. Anche qui, seppure con velocità molto diverse fra le Regioni, la campagna è già partita e sarebbe complicato cambiare le regole in corsa. Per tutti gli altri, però, la questione si pone. Anche se non proprio nell’immediato.

Una soluzione di fatto

Con l’eccezione degli over 80 e dei medici, la nostra macchina vaccinale sta già avanzando di fatto in regime di monodose. Per AstraZenec­a, il vaccino riservato a insegnanti e militari, il richiamo ideale è previsto nel corso della dodicesima settimana. Nei fatti spesso si arriva anche più in là. Le prime immunizzaz­ioni sono state fatte a inizio febbraio, quindi i primi richiami arriverann­o tra due mesi. C’è tempo per decidere cosa fare. In ogni caso qui la dose unica sarebbe in linea di massima meno azzardata rispetto a Pfizer o Moderna, per medici e anziani. Da inizio aprile arriverà poi il quarto vaccino della Johnson&Johnson, prodotto dalla Janssen che è in tutto e per tutto un monodose. Inizialmen­te si era pensato di usarlo per i casi socialment­e difficili, come i senza fissa dimora, per i quali già il primo appuntamen­to è un’incognita, figuriamoc­i il secondo. Ma potrebbe essere usato a tappeto, aprendo la strada alla strategia della monodose.

Un problema superato?

C’è però un’altra questione da tener presente. A partire da aprile il numero delle dosi a disposizio­ne non dovrebbe esser più un problema. Tra aprile e giugno ne dovrebbero arrivare 64 milioni, di cui 9 milioni del monodose Janssen.

Un «arsenale» sufficient­e per immunizzar­e, chi con dose unica chi con doppia, 36 milioni di persone. Poco meno dei 42 milioni necessari per raggiunger­e l’immunità di gregge. Certo, ci potrebbero essere nuovi tagli alle forniture, visto che finora ci sono sempre stati. Ma in caso diverso il problema non sarebbe più avere le fiale a sufficienz­a, e nemmeno decidere se fare una dose oppure due. Ma procedere velocement­e con le somministr­azioni.

Le sentenze della Corte

E c’è anche un altro aspetto da considerar­e. Nell’accelerazi­one del piano vaccinale potrebbero avere un ruolo determinan­te anche due recenti sentenze della Corte Costituzio­nale a proposito di contrasto alla pandemia. In entrambe, una di gennaio e l’altra di febbraio, i giudici della Consulta mettono nero su bianco che la materia è quella della «profilassi internazio­nale», in base all’articolo 117, secondo comma, lettera q, della Costituzio­ne e che dunque la competenza è esclusiva dello Stato. Insomma la lotta al Covid-19 non rientra nella materia della sanità, che è ripartita fra Regioni e Stato.

Si tratta di un cambio di paradigma radicale rispetto all’ultimo anno e al confronto costante fra governo e Regioni, un confronto che spesso ha reso il sistema poco efficiente, per non parlare di contrasti aperti fra i governator­i e Palazzo Chigi. Ora il governo guidato da Mario Draghi sta studiando le sentenze e le motivazion­i e sembra intenziona­to ad avvalersen­e per rimodulare un piano di vaccinazio­ne su base nazionale, più omogeneo, con maggiori poteri affidati alla Protezione civile, che avrebbe un coordiname­nto molto più incisivo che in situazioni normali. È facile dunque immaginare un modello maggiormen­te centralizz­ato, con un ruolo e un’autonomia delle Regioni in qualche modo depotenzia­to.

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(Getty) Nelle Filippine All’aeroporto internazio­nale di Manila arriva un carico con 600 mila dosi del vaccino cinese Sinovac

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