INTERVENTI E REPLICHE
Gentile direttore, a proposito dell’editoriale del professor Cassese «Le regole rispettate», mi sento in dovere di esporre una tesi diversa, circa la legittimità democratica del governo Draghi, oltre che di tutti i cosiddetti premier «tecnici» sopraggiunti dal 1993 a oggi. Non a caso, mi sono ben guardato dal citare una presunta illegittimità costituzionale che chiaramente non è in discussione. Ma ritengo che, per l’ennesima volta, con l’incarico affidato al presidente Draghi sia venuto meno il presupposto democratico che informa di sé l’intero impianto della nostra Costituzione: l’elezione del governo a suffragio universale, anche se indiretta. Mi spiego meglio: non mi risulta vi sia alcuna previsione esplicita nel testo costituzionale (né mi pare di ricordare alcun riferimento nei lavori preparatori) circa l’eventualità che un presidente del
Consiglio incaricato, possa essere del tutto esogeno rispetto al sistema politico nazionale. Certo, non vi è neanche alcuna disposizione che lo escluda. D’altra parte, la mia sensazione è che tale eventualità fosse considerata inimmaginabile dai padri costituenti. Mi conforta in questo assunto l’esperienza dell’intera «Prima Repubblica». Nel quasi mezzo secolo successivo all’adozione della Carta Costituzionale, e nei molti governi susseguitisi, non si è mai verificato che a capo dell’esecutivo venisse nominato qualcuno che non fosse diretta espressione di uno dei partiti che hanno dominato la scena italiana dal dopoguerra al 1993. Azzardo che forse nei pensieri dei padri costituenti solo un improvviso sovvertimento dell’ordine costituito avrebbe potuto determinare un’ipotesi del genere. Tornando ad oggi, ammetto che all’origine di queste mie considerazioni c’è una domanda che mi è stata rivolta dai colleghi al Parlamento europeo: «A quale partito appartiene Mr. Draghi?». E la loro faccia quando rispondevo: «Nessuno, è un tecnico». In Europa e nel mondo è pieno di democrazie parlamentari, in cui il capo del governo non viene eletto direttamente dai cittadini. Ma non c’è una sola democrazia, di qualunque tipo, in cui un premier non sia espressione di un partito o di una coalizione che ha partecipato alle elezioni. Di solito vincendole. C’è solo l’Italia, non per la prima volta, e il Regno del Lesotho in Africa del Sud. Dove il premier eletto si è dovuto dimettere per uno scandalo e il Re ha nominato al suo posto un tecnico, l’ex direttore del Fondo monetario internazionale. In conclusione, le regole costituzionali sono state indubbiamente rispettate. Ma usando le parole di Massimo Cacciari, domando anche io: «A che servono le rappresentanze politiche se nei momenti difficili bisogna ricorrere a Autorità “da fuori”? Se per la terza volta in un decennio è capo del governo chi nessuno ha eletto? Vi pare un fatterello irrilevante?».