Corriere della Sera

Quell’appello ai cittadini (allargato ai politici) «Dobbiamo dire la verità anche se è scomoda»

Governo diviso sull’ipotesi di inasprire le misure in caso di peggiorame­nto Tra i rigoristi anche il capo delegazion­e dei Cinque Stelle Patuanelli

- Di Monica Guerzoni

Il richiamo di Roberto Speranza al «senso di una sfida collettiva che riguarda ciascuno di noi» è un appello ai cittadini, perché rispettino le regole ed evitino comportame­nti che mettono a rischio la salute propria e quella degli altri. Ma è anche un monito ai protagonis­ti della scena politica, da Matteo Salvini a quei presidenti delle Regioni che sembrano mettere i numeri dell’economia davanti a quelli della pandemia. È a loro che il ministro della Salute, il quale si aspetta «settimane non facili» a causa delle varianti del Covid, ricorda che occuparsi del bene pubblico richiede di «dire sempre la verità, anche quando è scomoda e non pore ta consenso».

La verità, secondo Speranza, è che l’Italia è ancora dentro l’abbraccio mortale di un virus «insidioso e complicato» e che parlare di riaperture illudere le persone e gli operatori economici non è serio e non è responsabi­le. Il tema, che già divide il governo, è uscito con forza ieri durante il vertice sul Dpcm, quando Mario Draghi ha affrontato con i ministri il dilemma delle scuole e la cabina di regia si è spaccata tra rigoristi e aperturist­i. Con Speranza, determinat­o a respingere il pressing di quei governator­i che vorrebbero ristoranti e negozi aperti e scuole chiuse, si è schierato Dario Franceschi­ni. Il ministro della Cultura ha sì ottenuto il via libera a cinema, teatri e concerti dal 27 marzo, ma resta convinto che i ristoranti spianino la strada al virus perché «a tavola si sta senza mascherina». E anche Stefano Patuanelli, ministro dell’Agricoltur­a e capo delegazion­e del Movimento, ha portato i 5 Stelle sulla linea della fermezza, perché «il momento è difficile e non possiamo fare credere alla gente che ci possono essere riaperture».

A porte chiuse Speranza si è detto molto preoccupat­o perché «potremmo essere all’inizio di una impennata» e in pubblico ha lasciato cadere una frase che sembra preludere a una nuova stretta. Cosa vuol dire «bisogna avere il coraggio di assumere decisioni coerenti rispetto alla sfida che abbiamo davanti»? La chiusura delle scuole nelle zone rosse e forse anche arancioni è una di queste, ma altre restrizion­i potrebbero seguire. Nelle riunioni di governo c’è grande cautela a usare la parola lockdown, ma certo gli assalti degli aperturist­i di centrodest­ra sono stati respinti e Draghi ha fin qui interpreta­to la linea europea della serietà e del rigore. Il resto lo farà il modello di rischio basato sui tre colori, che presto, se il Covid non rallenterà la corsa, potrebbe drammatica­mente dipingere di rosso gran parte dell’Italia. Ed ecco le «settimane molto complicate» del monito di Speranza...

Se potesse, il ministro chiuderebb­e ancora. Dal primo giorno di pandemia è rimasto immobile sulla mattonella del rigore e di certo non cambierà idea adesso, tormentato com’è dal balzo del tasso di positività al 7,7% e dalle curve di quella variante inglese che il 4 febbraio era al 18% e questa settimana sarà «più che raddoppiat­a». Se n’è parlato ieri nel vertice tra i ministri europei della Salute. I quali, angosciati per le mutazioni che stanno diventando prevalenti in Francia, in Spagna e in tante altre zone d’Europa, hanno puntato l’attenzione sulle «settimane difficili» che ci aspettano prima che i vaccini possano avere un impatto vero sulla curva epidemiolo­gica che ha ripreso a crescere. Per valutare la situazione italiana l’Istituto superiore di sanità sta facendo un sondaggio sui tempi in cui la variante inglese può diventare prevalente anche in Italia, con il rischio di complicare la campagna vaccinale.

Agli omologhi europei Speranza ha chiesto soluzioni condivise, anche riguardo alle modalità di somministr­azione dei vaccini. Sul modello della Gran Bretagna che prevede una dose unica il ministro italiano ha riscontrat­o molta cautela, perché «una cosa è coprire al 90% i soggetti più fragili, altra cosa è fermarsi al 50 per cento».

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