Centanni: «La battaglia è ora Dobbiamo alzare le barricate prima del picco di fine marzo»
Non ci sono altre metafore possibili per spiegare il senso d’urgenza che si vive nelle corsie degli ospedali per rimbalzare l’ennesimo tentativo di alzare la testa del virus. «Dobbiamo correre fortissimo con la campagna vaccinale», spiega Stefano Centanni, primario di Pneumologia degli ospedali Santi Paolo e Carlo di Milano.
Cosa dicono i dati?
«Niente di buono. Noi oggi viviamo quello che è successo 15 giorni fa. Il resto ce lo fa intuire il trend e tutti gli epidemiologi sono d’accordo sul fatto che nelle prossime due tre settimane la situazione peggiorerà. Noi medici possiamo fare solo una cosa: essere pronti».
La catena dei contagi sembra allargarsi...
«Purtroppo con un anno di esperienza possiamo fare confronti. Sappiamo che il primo numero a crescere è quello dei contagi. Poi ci sara una percentuale di persone che svilupperà la malattia in forma più grave e dovrà essere ricoverata».
Come è la situazione nei pronto soccorso?
«A Milano nessun ospedale è particolarmente sotto pressione. Il numero dei ricoveri è ancora contenuto e nei pronto soccorso la maggioranza non sono pazienti Covid. Ma abbiamo un grande problema rispetto al passato: i reparti Covid non si sono mai svuotati. Per cui non possiamo permetterci assolutamente un’altra vera ondata. Dobbiamo alzare le barricate entro la data in cui si prevede il picco, tra il 20 e il 25 marzo».
State curando la stessa malattia?
«I sintomi sono quelli, ma i pazienti sono più giovani. Un fatto che conferma quello che ci raccontavano i colleghi inglesi sull’impatto di questa variante. Il Covid non ha le zampe e nemmeno le ali. Vive di contatti sociali. E purtroppo i giovani sono quelli che si proteggono di meno. Per fortuna molti hanno le spalle larghe. Il curriculum sanitario di un paziente di 80 anni è diverso da quello di uno di 40».
Con le varianti i sintomi sono gli stessi ma i pazienti sono più giovani perché si proteggono meno
Cosa ha pensato vedendo le feste in piazza sabato?
«Scene intollerabili per chi vive la realtà degli ospedali».
Rispetto a un anno fa abbiamo l’arma del vaccino...
«Funzionano e ce lo dicono per ora purtroppo solo i dati internazionali. In Scozia, Inghilterra, Israele la riduzione dei contagi è importante. Noi siamo indietro e sapevamo che il virus sarebbe mutato. Per questo il rafforzamento delle misure di contenimento aiuta. Ma non basta...».
Dipendesse da lei la strategia?
«Seguire la strada degli inglesi. Vaccinare subito il più ampio numero di persone possibile e poi ragionare. Sono d’accordo con chi dice che non viviamo tempi normali. Vede, anch’io se vado al ristorante preferisco prendermi antipasto, primo, secondo e dolce. Ma qui non c’è tempo. E in una situazione del genere non possiamo viaggiare con le regole dei manuali».
Una dose per tutti subito?
«Certo, perché la battaglia si combatte adesso. In queste settimane, a marzo. Dare una copertura immunitaria a una grande platea di persone ci avvicinerebbe all’estate quando avremo davanti un altro film. A luglio scorso nei nostri reparti non avevamo neanche un paziente Covid. La stagione in questo senso ci aiuterà avvicinandoci l’orizzonte».
Dice che negli ospedali arriva gente giovane. Sugli anziani si vedono i primi effetti della campagna vaccinale?
«Sì, ma non solo. Gli over 80 escono meno, hanno meno contatti sociali, in generale sono più prudenti. Si sono immunizzati gli ospiti delle Rsa e tanti altri hanno già ricevuto la prima dose. Però non possiamo dimenticare che nel frattempo abbiamo perso una generazione».