«Soltanto parole Non hanno trovato soldi»
Il no global: io come Mimmo Lucano
«Ho dovuto procurarmi un nuovo telefono, ma non posso chiamare nessuno perché mi hanno sequestrato pure i computer. Hanno rivoltato casa...». Luca Casarini, 53 anni, lo stesso ciuffo dei suoi vent’anni, radici a Mestre, diplomato a Padova, antagonista svezzato a Porto Marghera, da sempre leader dei disobbedienti e cittadino del mondo, parla dal suo ultimo domicilio, Palermo, dove ha messo radici da tempo. A due passi dalla Cala, il porto vecchio. Di fronte alla Guardia costiera che indaga, come Digos e Finanza, su ordine della Procura di Ragusa.
Hanno attraversato la strada?
«Un blitz interforze», racconta ironico. «Tutti a cercare le prove di una macchinazione, di un teorema applicato al soccorso in mare».
Chi è
Luca Casarini, 53 anni, ex leader no global e dei cosiddetti disobbedienti
Un teorema? Guardi che l’accusa e di avere intascato quattrini.
«Se avessero trovato i quattrini ci avrebbero arrestati tutti. Non c’è niente. Non hanno niente nelle mani e rivoltano tutto per cercare una cosa che non esiste».
Hanno le intercettazioni.
«Parole. Niente fatti. Arrivano a dire che la compagnia armatoriale è una associazione criminale dedita all’attività per lucro e che per fare questo si è inventata la nostra associazione, la “Mediterranea”. È solo un modo per cercare di infangarmi. È un’operazione tipo Mimmo Lucano».
A parte l’ingiusto arresto del sindaco di Riace, qualche dubbio sulla gestione delle Ong nel Mediterraneo è condiviso da altre Procure.
«Ci sono Procure coraggiose come Agrigento e Roma. E ci sono piccoli procuratori come succede a Ragusa. Ma vi rendete conto che presentano quel trasbordo di settembre come una operazione oscura, mentre si fece tutto alla luce del sole dopo la vergogna dei 38 giorni fatti passare ai migranti su una portacontainer perché nessuno li voleva?».
Non li voleva Malta.
«Sì, spettava a Malta accoglierli. Una vergogna. Ma quando è finalmente intervenuta la Mare Jonio è stato il governo italiano a dirci di approdare a Pozzallo».
Lei è certo che non ci sia stata una dazione di denaro e una richiesta da parte della «Idra social shipping», l’armatore della vostra nave?
«È una macchina del fango vista tante volte. La società non ha mai fatto nulla di illegale».
Quale sarebbe l’obiettivo della presunta «macchinazione»?
«La Mare Jonio è a Venezia, in cantiere. Si sa che stiamo preparando un’altra nave. E non dico dove altrimenti la sequestrano. Sanno che stiamo per uscire in mare e vogliono bloccarci».
Salvini ha chiesto a Draghi e Lamorgese un incontro urgente...
«Per difenderci, immagino. A noi interessano i governi. A settembre parlammo di gigantesca violazione delle convenzioni internazionali e non ci curavamo di capire se era Conte uno o Conte due. Per noi non esistono governi amici. Un po’ tutti considerano dei pacchi gli esseri umani. I governi mutano, noi facciamo la stessa cosa con tutti».
Una macchinazione
Cosa risponde a chi sospetta comunque un business?
«Non è la prima insinuazione. Ogni tanto per essere sicuro che non abbiano ragione guardo il mio conto in banca e mi accorgo di essere povero come prima. Se controllassero sarebbe più difficile infangare. Il vero business sta da un’altra parte».
Dove sta?
«Nei 767 milioni elargiti all’autorità libica. Non li usano per salvare i migranti. Potrebbero farlo regolarmente. Attivando canali legali. Ecco, il business è di chi costringe i migranti a imbarcarsi su carrette e gommoni. Con fiumi di denaro che finiscono alle piccole milizie o foraggiano trattative fra Stati per bloccare i migranti nei lager».
Hanno messo in campo una macchina del fango per bloccare le nostre attività di soccorso