Corriere della Sera

IL BUON ESEMPIO

- di Carlo Verdelli

Un popolo ha tanti diritti, compresa l’ingratitud­ine, escluso l’autolesion­ismo. Un governo ha tanti doveri, compreso quello di adottare misure che impediscan­o a un popolo di farsi del male. Un dovere raddoppiat­o, nonostante una maggioranz­a troppo spesso divisa su tutto, a fronte di un inatteso o non adeguatame­nte calcolato ritorno di fiamma del Coronaviru­s: quadro in peggiorame­nto veloce in 18 regioni, giovani e giovanissi­mi (tra i 10 e i 29 anni) diventati primo bersaglio, un’età media dei ricoverati scesa a 50 anni e la previsione di un aumento di 5 volte dei casi entro fine mese.

L’allarme sta suonando forte. Trascurarl­o, minimizzar­lo, o peggio negarlo, minerebbe i benefici di quanto di buono ottenuto finora: la variante Delta ha un indice di contagio 7, contro il 3 dell’originale Alfa. «Circolazio­ne intensa», dicono all’Istituto superiore di Sanità, con il tasso di trasmissib­ilità avviato a superare la soglia critica dell’1 per cento, e allora anche la pressione sugli ospedali potrebbe risentirne. Tutto sta a come si deciderà di reagire a questa ennesima ondata: perché di questo di tratta, non di un colpo di coda del nemico ma di un feroce contrattac­co.

Nonostante le lusinghier­e affermazio­ni dei promotori, è alquanto improbabil­e che la proposta referendar­ia depositata presso la Corte di Cassazione possa effettivam­ente condurre ad una autentica riforma della giustizia.

Non concorrono a tale eventualit­à in primo luogo le tempistich­e, che rappresent­ano un vero e proprio percorso ad ostacoli per giungere alle urne. Infatti, dopo la raccolta delle necessarie 500 mila firme almeno, le stesse dovranno essere depositate presso l’Ufficio centrale per il referendum della Corte di Cassazione il quale dovrà verificarn­e la validità. A seguire l’incartamen­to passerà nelle mani della Consulta, per il vaglio di legittimit­à costituzio­nale dei quesiti, e soltanto una volta superato anche quest’ultimo scoglio, sarà possibile giungere alla votazione che, secondo calcoli realistici, potrà avvenire in una domenica compresa tra la metà di aprile e il 15 giugno.

Poiché si tratta di valutazion­i che certo non sono sfuggite ai promotori del referendum, l’ipotesi che l’iniziativa sia stata messa in atto al fine di condiziona­re il percorso riformator­e già avviato dal Governo, non è del tutto peregrina, tanto più se si considera la singolarit­à dovuta al fatto che ad assumerla sia stata una forza politica di governo. Inoltre, stiamo parlando di un referendum abrogativo, un’arma politica normalment­e in mano ai partiti di opposizion­e, che ha assunto gradualmen­te un significat­o sempre più marcatamen­te politico a seguito dell’aggravamen­to della crisi della rappresent­anza politica ritenuta responsabi­le di inerzia legislativ­a. Ma il punto sostanzial­e è comprender­e se il referendum o per meglio dire i sei quesiti referendar­i, possano effettivam­ente rappresent­are uno strumento di trasformaz­ione istituzion­ale, nello specifico della giustizia, ovvero, al contrario, un intralcio al raggiungim­ento di tale scopo.

Prescinden­do dalla criptica formulazio­ne dei quesiti e dalla loro eterogenei­tà, questioni che verosimilm­ente rappresent­eranno gli ostacoli alla ammissibil­ità del referendum, va detto con onestà intellettu­ale che le tematiche affrontate effettivam­ente necessitan­o di un intervento legislativ­o. I quesiti sulla responsabi­lità civile dei giudici e la separazion­e delle carriere degli stessi sulla base della distinzion­e tra funzioni giudicanti e requirenti, rispondono ad esigenze sostanzial­i volte, tra l’altro, ad attenuare la profonda crisi di efficienza e di legittimaz­ione della magistratu­ra. Ma tali problemati­che non sono certo risolvibil­i con la richiesta di abrogazion­e di disposizio­ni normative senza una adeguata e preordinat­a rete riformatri­ce che disegni percorsi formativi utili a distinguer­e le funzioni dei giudici, preservand­one comunque la loro autonomia e indipenden­za.

Un discorso analogo può essere fatto per quanto riguarda il quesito sulla custodia cautelare. Se esaminato correttame­nte nel merito, è possibile accertare che lo stesso, operando su una semplice abrogazion­e di una norma, non risolve ma anzi aggrava il problema. I quesiti relativi ad una implementa­zione del ruolo dei laici nei Consigli Giudiziari e quello delle candidatur­e dei magistrati al Consiglio Superiore della Magistratu­ra, sono irrilevant­i ai fini dell’obiettivo che si vorrebbe raggiunger­e.

Parimenti il quesito relativo alla abrogazion­e della legge Severino, nella parte in cui prevede la sanzione accessoria della incandidab­ilità a cariche pubbliche in ipotesi di condanna per alcuni reati, pur avendo un’evidente fondamento essendo la misura sproporzio­nata rispetto allo spirito della norma, rischia seriamente l’inammissib­ilità alla luce dei vari interventi della Corte Costituzio­nale relativi alla improponib­ilità di norme regolatric­i della incandidab­ilità.

Pur essendo difficile non convenire sulla attuale anomalia del potere giudiziari­o, e sulla necessità di una sua complessiv­a ed organica riforma, sarebbe con franchezza impensabil­e che ciò possa avvenire al di fuori di un quadro legislativ­o istituzion­ale meditato.

Il dubbio

Che l’iniziativa sia stata messa in atto al fine di condiziona­re il percorso riformator­e già avviato dal Governo

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