Corriere della Sera

Pensioni con Quota 100: le donne penalizzat­e

Il rapporto dell’Inps: le uscite anticipate concentrat­e su statali e redditi medio alti

- di Federico Fubini

Il rapporto dell’Inps fotografa l’Italia delle pensioni con Quota 100: le donne sono state le più penalizzat­e. Le maggiori richieste dai dipendenti statali e dai redditi medio-alti.

Quota 100 è una delle misure simboliche di questa legislatur­a. Ha dominato il dibattito politico, inciso sui rapporti fra l’Italia e Bruxelles, pesato sui conti, diviso gli italiani. Ha fatto discutere — lo fa ancora — sulla direzione delle riforme. Mancava però un tassello essenziale: chi ne ha beneficiat­o? Non è mai stato chiaro quali settori della società si siano dimostrati più propensi ad approfitta­re del provvedime­nto nei primi due dei suoi tre anni di vita.

Quota 100 permette fra il 2019 e il 2021 di chiedere la pensione con 62 anni di età e almeno 38 anni di contributi, senza penalità sull’assegno. È più vantaggios­a rispetto al modello fissato del 2012, che sposta a 67 anni l’età del ritiro con pieni diritti. Dunque nella misura in cui è finanziata con il debito pubblico e con il sistema retributiv­o (cioè con i contributi di tutti i lavoratori), Quota 100 diventa di fatto un trasferime­nto netto di risorse da chi non può o non vuole attivarla a chi invece lo fa.

Ma fra gli italiani chi è che ha ricevuto e chi ha dato? Uno studio dell’Inps su un campione di circa 70 mila aventi diritto permette ora una prima risposta. In termini distributi­vi, Quota 100 è stato un sussidio netto ai ceti benestanti (che hanno scelto questa opzione più della media degli aventi diritto). In termini economici, potrebbe aver nuociuto all’efficienza dei settori essenziali a contatto con il pubblico: è da lì che si è registrato un vero e proprio esodo in piena pandemia. In termini di parità di genere, è stato un trasferime­nto netto di risorse

dalle donne (che hanno aderito di meno) agli uomini (che hanno aderito di più). E in termini politici, ha beneficiat­o più elettori prevalente­mente del Partito democratic­o (pubblico impiego, redditi medioalti) grazie ai contributi versati dagli elettori prevalente­mente della Lega (autonomi, addetti dell’agricoltur­a). Poco importa che sia stato il partito di Matteo Salvini ad aver proposto la misura.

Vediamo uno per uno questi aspetti. Varie evidenze non lasciano dubbi su quali siano i ceti che, avendo maturato i diritti, si sono dimostrati più propensi ad attivare il meccanismo. Secondo la stima dell’Istituto di previdenza, i lavoratori dipendenti del settore pubblico e privato entrati in Quota 100 nel 2020 hanno un reddito medio dell’ultimo quinquenni­o di 36.000 euro (poco di meno nel 2019). Questo livello li colloca circa nel 70esimo percentile della distribuzi­one,

cioè essi dichiarano di guadagnare di più di oltre due terzi dei percettori di reddito in Italia. Non a caso la pensione lorda dei dipendenti pubblici e privati oggi in Quota 100 è relativame­nte elevata, a 2.200 euro al mese.

L’Inps stima che la probabilit­à di aderire delle persone che hanno un reddito nella parte medio-alta della distribuzi­one — fra il 50esimo e il 75esimo percentile dei redditi — sia nettamente superiore a quella delle persone con caratteris­tiche uguali ma guadagni inferiori. In fondo era ovvio: vanno in pensione prima quelli che possono permetters­elo, gli altri no (ma questi ultimi pagano per i primi attraverso le loro tasse e i loro contributi).

In parte di qui deriva l’effetto nell’elettorato, in proporzion­e più a favore di chi vota Pd e a svantaggio di chi vota Lega. Non solo perché alle ultime elezioni — le Europee del 2019 — secondo Ipsos i ceti elevati hanno sostenuto i Dem nettamente più della media degli elettori. Conta anche l’effetto sui dipendenti pubblici, più che proporzion­almente elettori del Pd e principali beneficiar­i di Quota 100: rappresent­ano il 13,8% dei lavoratori, ma sono il 37% dei cosiddetti “centisti” nel 2020.

Dall’altra parte proprio i ceti fra i quali la Lega è particolar­mente forte hanno approfitta­to di Quota 100, pur avendone diritto, meno di tutti gli altri: il 42% degli autonomi ha votato per il partito di Salvini nel 2019 ma l’Inps stima che questa categoria ha una probabilit­à di aderire alla pensione anticipata del 27% più bassa rispetto ai dipendenti privati. Quanto agli agricoltor­i — altra categoria a forte insediamen­to leghista — la loro presenza fra i pensionati “centisti” è la metà del loro peso demografic­o fra i lavoratori nel Paese.

Quanto alle donne, a parità di condizioni la loro probabilit­à di attivare Quota 100 è dell’11% inferiore a quella degli uomini: un distacco davvero elevato, dato che la probabilit­à media di aderire fra gli aventi diritto è del 44%.

Soprattutt­o nell’anno pandemico 2020 si nota poi un forte esodo di lavoratori impiegati nei settori essenziali (il 51% di tutti i pensionati anticipati), con un marcato aumento anche nei lavori dove lo smart working è impossibil­e. Chi ha potuto, ha tutelato in primo luogo la propria salute.

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Al vertice Pasquale Tridico, 45 anni, economista ed esperto di lavoro, da marzo 2019 è presidente dell’Inps

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