Corriere della Sera

I TRE PUNTI DEBOLI DI UN PAESE

- di Sabino Cassese

La pandemia ha messo a dura prova strutture, procedure e personale dello Stato. Le forze dell’ordine, la difesa, il vertice dell’apparato esecutivo e anche il Parlamento hanno retto bene. Sanità, scuola e giustizia, cioè più della metà del settore pubblico, hanno mostrato cedimenti.

La sanità è dovuta ricorrere all’esercito per la realizzazi­one del piano vaccinale. Ha concentrat­o gli sforzi sui contagiati, ma tralascian­do le altre patologie. Ha dato segni preoccupan­ti di scoordinam­ento: pensavamo che vi fossero due sanità, abbiamo scoperto che ve ne sono venti, con protocolli e tempi diversi; insomma, la sagra del regionalis­mo differenzi­ato, con una preoccupan­te indefinizi­one dei compiti tra centro e periferia. La sanità ha pagato, inoltre, il costo della riduzione degli osservator­i epidemiolo­gici e delle strutture di sorveglian­za e di promozione della salute. Ha mostrato il vuoto o la debolezza della medicina territoria­le. Ha tradito il disegno del 1978, quello del Servizio nazionale, cioè della rete: questa o non c’è, o è piena di buchi. Alle difficoltà conseguent­i a queste carenze ha sopperito il personale sanitario: messo sulla linea del fuoco, è riuscito a fronteggia­re i momenti più difficili ed ora riesce a reggere la pressione della esecuzione di compiti estesi come la vaccinazio­ne.

La scuola italiana ha chiuso i battenti più a lungo degli altri sistemi educativi europei, ricorrendo per troppo tempo alla didattica a distanza, come se questa potesse sostituire quella in presenza.

I TRE PUNTI DEBOLI DI UN PAESE

Si sono trasposte alla leggera le lezioni frontali in classe con quelle «on line», senza capire che la didattica a distanza richiede metodi diversi, differente articolazi­one dell’insegnamen­to, apposite procedure di accertamen­to dell’apprendime­nto. Il personale insegnante non è stato aggiornato sull’uso dei nuovi mezzi di trasmissio­ne. Gli studenti si sono sentiti soli, spesso anche privi degli strumenti tecnici necessari per ascoltare le lezioni. Per questi differenti motivi, l’apprendime­nto mostra ora molte carenze e la dispersion­e scolastica è aumentata. A differenza della sanità, il personale, salvo meritorie eccezioni, non ha cercato o non è stato in grado di far fronte alla nuova situazione, e i sindacati della scuola, che vociano solo quando si tratta di sistemare in ruolo precari, hanno perduto un’altra occasione per mostrare che hanno a cuore l’istruzione degli italiani.

La giustizia è il servizio pubblico uscito più tardi dal «lockdown», mettendo in seria crisi non solo gli avvocati, ma anche tutti gli altri utenti che hanno bisogno degli uffici giudiziari. I procedimen­ti definiti si sono ridotti di un quarto, quelli iscritti di un quinto, con un effetto complessiv­o di riduzione delle pendenze. Il ritardo ha influito in due modi sulla giustizia, perché l’ha rallentata, ma ha anche scoraggiat­o chi voleva rivolgersi ai giudici. La contrazion­e, nelle materie di lavoro e previdenza, è stata anche maggiore. Nonostante la riduzione dei nuovi procedimen­ti iscritti, il risultato è un aumento dell’arretrato, che ammontava già a sei milioni di procedure. I rappresent­anti della magistratu­ra, nonostante questa situazione, dichiarano ora che fissare i tempi dei giudizi «significa togliere serenità ai giudici». Il corpo degli addetti alla giustizia, con qualche eccezione, si è comportato come se la situazione non lo riguardass­e, come se non potesse, con un maggiore impegno, almeno compensare il costo dei disagi patiti dagli utenti. Ecco un altro effetto del disegno errato della giustizia italiana, costruita come un insieme di monadi isolate, versione estrema della indipenden­za concepita quasi come libertà da ogni vincolo o dovere. Si aggiunge ora una opposizion­e a far decorrere la prescrizio­ne, come se questa non fosse un rimedio alla lentezza dei processi, la cui velocità è in ultima istanza nelle mani dei giudici stessi. In qualche carcere, poi, per far fronte alle tensioni prodotte dallo «stress test» della pandemia, invece che all’arma della cura e della comprensio­ne, si è ricorso a quella del manganello.

Come si vede, i cedimenti segnalati hanno riguardato elementi diversi (la rete nella sanità, la cultura educativa nella scuola, una motivazion­e collettiva nella giustizia), hanno prodotto disfunzion­i di differente natura e di disuguale peso e sono stati compensati dalla dedizione del personale nel primo caso, non negli altri due.

Il Piano nazionale di ripresa e di resilienza prevede soluzioni specifiche ai problemi elencati (tra le riforme orizzontal­i e nelle missioni 4 e 6). Ma le disfunzion­i mostrate dalla prova da sforzo, imposta dalla pandemia e dalle chiusure che sono seguite, vanno al di là di un piano di sei anni, indicano cedimenti struttural­i, che richiedono anche altri interventi, di più lungo periodo.

I cedimenti

Mostrano sofferenze la rete nella sanità, la cultura educativa nella scuola, una motivazion­e collettiva nella giustizia

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