Corriere della Sera

«Seid e il suicidio il razzismo c’era»

Il genitore del giovane suicida: leggerò quella lettera ai giovani

- di Giusi Fasano

Al telefono c’è un padre dalla voce che trema. «Adesso ci è tutto più chiaro» dice. «E io e mia moglie abbiamo deciso che daremo voce al pensiero di Seid, porteremo avanti la sua lotta contro il razzismo e contro ogni tipo di discrimina­zione. Lo faremo a partire dalla sua lettera. La leggeremo e la discuterem­o nelle scuole, nei campi di calcio, nelle conferenze. Lo faremo per lui e per ogni Seid che si sente fuori posto per il colore della sua pelle».

Walter Visin parla ed è come se con ogni parola si togliesse un peso. All’inizio di giugno Seid, il figlio ventenne che era nato in Etiopia e che aveva adottato quando aveva 7 anni, si è tolto la vita. Era un talento del calcio, quel ragazzo. Aveva passato un paio di stagioni a Milano a giocare nelle giovanili del Milan, a dividere la stanza con Donnarumma, aveva indossato la maglia del Benevento. Ma alla fine aveva preferito dire addio al calcio profession­istico e tornare a casa a studiare, a Nocera Inferiore (Salerno). Del pallone gli era rimasto soltanto l’impegno in una squadretta locale di calcio a cinque, l’Atletico Vitale.

I primi giorni si disse che era morto di un malore ma poi (lo ha scritto il Corriere il 6 giugno) si seppe del suicidio e nell’arco di poche ore invase i social una lunga lettera contro il razzismo che lui aveva scritto a gennaio del 2019. «Ovunque io vada, ovunque io sia, sento sulle mie spalle come un macigno il peso degli sguardi scettici, prevenuti, schifati e impauriti delle persone», dice un passaggio.

Fu un fiume in piena di dichiarazi­oni, prese di posizione di politici, calciatori, associazio­ni. Finché Walter e sua moglie Maddalena dichiararo­no che «era un ragazzo tormentato, con molti problemi. Ma il razzismo non c’entra con il suicidio. Quella lettera era uno sfogo superato».

Adesso, a più di un mese di distanza e dopo aver indagato, riflettuto, letto il suo tablet, ripercorso questo o quell’episodio, Walter dice che lui e sua moglie hanno capito che invece non era così. Che il razzismo era parte del problema, un peso importante sulla bilancia della vita di Seid. Così hanno contattato

l’associazio­ne «Mamme per la pelle» di Gabriella Nobile e hanno deciso di coltivare la causa antirazzis­ta del figlio. «In quei giorni eravamo scioccati, confusi. Mia moglie lo ha trovato in quelle condizioni... una cosa devastante. Abbiamo alzato dei muri per difenderci dal dolore e per respingere un assalto mediatico che non ci aspettavam­o. Non era tempo per ragionare su quello che ci era caduto addosso. Ora invece lo sappiamo: sì, il razzismo ha contato nella vita e nella morte di nostro figlio. Seid era un ragazzo che aveva dei cassetti segreti chiusi nella sua mente, c’erano dentro dispiaceri e abusi subiti in Etiopia da piccolo, contenevan­o tutte le sue fragilità. Questo ha certamente contato nella sua decisione di togliersi la vita. Ma in quella decisione c’è anche il razzismo che ha vissuto come ragazzo nero qui in Italia».

In questo mese di notti insonni e di ricordi, Walter avrà rivisto mille volte il sorriso amaro del suo Seid mentre qualcuno faceva battute tipo «adesso facciamo giocare questo sporco negro».

«Erano frasi dette per scherzo» è sicuro lui, «da persone che gli volevano anche bene. Io gli dicevo sempre di non badarci, che erano solo battute, che doveva farsele scivolare addosso come l’olio... Ora so che ogni parola può aprire una ferita. Che erano ferite anche le parole di qualche nostro parente disoccupat­o che diceva “vengono qui e ci rubano il lavoro”. Anch’io ho sbagliato a sdrammatiz­zare».

Più Walter ci pensa più affiorano episodi. «Quand’era a Milano qualcuno aveva urlato “togliete quel nero di m .... dal campo”. A Nocera era più protetto, ci conoscono tutti. Eppure sono successe piccole cose anche qui, cose che ora vedo in una luce diversa perché le guardo con i suoi occhi. Una volta aveva provato a lavorare in un bar. Era tornato a casa e ha detto: “Mamma non voglio più andarci, perché un vecchio non ha voluto essere servito da me”. Quell’uomo era un analfabeta ignorante ma lui l’aveva vissuta male lo stesso. E poi quando mia moglie lo accompagna­va in stazione a volte vedeva da lontano che la Polfer si avvicinava subito per controlli. Lei lo chiamava: “Seid, amore, allora vengo a prenderti io al ritorno”. E i poliziotti capivano e si allontanav­ano».

Walter dice che «siamo arrivati alla conclusion­e che Seid ci nascondeva la sua sofferenza per il razzismo, per proteggerc­i. Ecco. Dirò anche questo nella cerimonia prevista a settembre per dedicare a lui il campetto di calcio in cui giocava».

All’inizio eravamo scioccati, confusi Abbiamo alzato dei muri per difenderci Adesso lo sappiamo: sì, il razzismo ha contato nella vita e nella morte di nostro figlio

Io gli dicevo sempre di non badarci, che erano solo battute, di farsele scivolare addosso... Ora so che ogni parola può aprire una ferita Anch’io ho sbagliato a sdrammatiz­zare

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 ??  ?? Rossonero Sopra Seid, a 14 anni, quando giocava nelle giovanili del Milan, dove militava anche Donnarumma. Nella foto piccola assieme al padre adottivo Walter Visin
Rossonero Sopra Seid, a 14 anni, quando giocava nelle giovanili del Milan, dove militava anche Donnarumma. Nella foto piccola assieme al padre adottivo Walter Visin
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