Tre positivi nella bolla del Villaggio E il conto totale sale a quota 55
Compromessa l’avventura della squadra serba di canottaggio: per un contagiato trovato in aeroporto vietati tutti gli allenamenti
Èper adesso, una debole fiammella. Minacciata da ogni parte. La fiaccola olimpica che la signora Kayoko Takahashi, 53 anni di Mito, ha cercato di spegnere con una pistola ad acqua in segno di protesta verso Giochi che i giapponesi non vogliono (al 78% secondo gli ultimi sondaggi, altri 200 protestavano davanti alla stazione Shibuya ieri a Tokyo) aspetta solo di essere animata da una storia, da una faccia, da un’impresa di muscoli ed emozioni, di quelle che solo all’Olimpiade.
Per adesso le storie che si raccolgono sono altre. I Giochi della squadra di canottaggio della Serbia sono già finiti: ai controlli in aeroporto è emerso un positivo, tutta la squadra è stata considerata «contatto stretto» e messa in isolamento in hotel dal 3 al 17 luglio senza potersi allenare. A questi livelli, significa non poter recuperare in tempo.
Per adesso siamo ancora una volta ad aggiornare la contabilità dei positivi: 55 da inizio luglio tra i 30.000 controlli effettuati su 18.000 atleti, supervisori, funzionari o giornalisti. E se è vero che «il rischio zero non esiste» come ha riconosciuto il direttore dei Giochi per il Cio, Christophe Dubi, l’allarme (con polemiche) si è diffuso quando si è passata una barriera protettiva che è (era?) anche una soglia psicologica: si sono registrati i primi atleti positivi al Villaggio, il luogo che secondo il grande capo Thomas
Bach doveva essere «il più sicuro di tutti» e che, progettato per ospitare 17mila persone, ne vedrà al massimo 6mila contemporaneamente.
Invece c’è un piccolo focolaio da gestire e la Federazione dei medici giapponesi ha già messo le mani avanti dicendo che non potrà garantire specifiche contromisure: sabato è stato trovato il primo positivo (non atleta) e ieri si è saputo del contagio dei due calciatori del Sudafrica, il difensore Thabiso Monyane e il centrocampista Kamohelo Mahlatsi: hanno entrambi la febbre e il test molecolare ha confermato il risultato del primo salivare. Con loro positivo anche il video analyst della squadra, Mario Masha. Ora tutta la squadra è in isolamento, si è già sottoposta a due tamponi negativi e freme per tornare ad allenarsi presto: giovedì 22 è in programma la sfida con il Giappone. Ci riuscirà? Il rischio è che il concetto di «contatto stretto» (valutato caso per caso) generi figli e figliastri.
La squadra del Sudafrica — peraltro tutta vaccinata con Johnson & Johnson — sembra la più colpita: positivo anche l’allenatore di rugby a 7, Neil Powell, che si trova in isolamento a Kagashimo e deve guidare la squadra che punta all’oro dalla camera d’albergo. Sul volo che li portava in Giappone era stato riscontrato un positivo e perciò avevano già tutti passato un periodo in isolamento: poi solo l’allenatore è rimasto intrappolato nella rete dei successivi controlli.
Il viaggio in aereo sembra la falla dentro la bolla. Di sicuro è l’incubo maggiore di tutte le delegazioni: basta un positivo sul volo e piani studiati nel dettaglio rischiano di andare a monte. Sei atleti e due membri dello staff della squadra di atletica della Gran Bretagna sono in isolamento per aver viaggiato con un positivo. Il resto della squadra invece è «libera». Infine c’è un altro atleta non al Villaggio — e per ora anonimo — contagiato.
La vera domanda dei Giochi proibiti, rimandati, pericolosi, forse sporchi e cattivi, sicuramente mai visti è questa: lo spirito olimpico riuscirà a farsi strada o sarà ammazzato nella culla sotto il peso di quarantene, positivi, playbook (le centinaia e centinaia di pagine di regole e manuali che i giapponesi hanno fornito a tutti quelli che entravano nel Paese)? Magari basta poco per accedere la fiammella, per ora si accendono le preoccupazioni. Presto lo scopriremo.