Corriere della Sera

Perle e giubbotto antiproiet­tile La vedova Moïse torna a Haiti

Ad accoglierl­a il premier silurato dal marito (e scaricato ora da Usa e Onu)

- di Michele Farina

La mascherina, la collana di perle, un tutore al braccio, gli occhi sofferenti e il giubbotto anti-proiettile: Martine Moïse, la moglie del presidente ucciso il 7 luglio, è tornata silenziosa­mente a Haiti, in un Paese che non si sa bene da chi sia governato e per quanto. L’avevano data per morta in un ospedale di Miami, dove la 47enne first lady era stata evacuata in seguito alle ferite riportate quella notte nella villa sulle colline di Port-au-Prince.

Il suo ritorno non era stato annunciato. Ad aspettarla all’aeroporto il premier Claude Joseph, che il marito Jovenel aveva sostituito due giorni prima di essere ucciso, senza avere il tempo di far giurare il sostituto Ariel Henry.

Mentre è buio pesto sugli assassini del presidente, fitta è la lotta per sostituirl­o. il destino di Joseph, accademico aggrappato alla politica, è in bilico. Silurato da Moïse e rimasto al potere grazie alla sua dipartita, nei giorni successivi aveva incassato il sostegno internazio­nale di Usa e Onu, gli stessi che adesso gli danno il ben servito. Il voltafacci­a è arrivato con un comunicato del Core Group, blocco che raccoglie ambasciato­ri di vari Paesi e organismi (Usa, Ue, Brasile, Canada, Spagna, Francia. Germania, Onu e Organizzaz­ione denapoleon­ici, gli Stati americani). I diplomatic­i dimentican­o Joseph e chiedono al primo ministro designato (dal presidente defunto) di costituire «un governo inclusivo». E così il neurochiru­rgo Ariel Henry, 70 anni, da tempo più interessat­o alla poltrona che al bisturi, già ministro degli Interni considerat­o vicino all’opposizion­e che non amava Moïse, riceve un mandato che sembrava sfumato.

Il mondo vuole disinnesca­re il caos di Haiti (per tornare a dimenticar­e il suo popolo). Washington fin dall’inizio preme perché si tengano elezioni il 26 settembre. La figura del dottor Henry sembra ora dare le garanzie migliori. La prima Repubblica nera d’America, dove gli schiavi cacciarono i è senza Parlamento, con la Corte Costituzio­nale resa acefala dal Covid. Il suo ultimo, contestato presidente della Repubblica, che negli ultimi anni aveva governato come un autocrate (molto appoggiato da Donald Trump), sarà sepolto venerdì prossimo a Cap-Haïtien davanti agli occhi della sopravviss­uta Martine e dei suo tre figli che chiedono giustizia. Ma a Haiti alcuni analisti pensano che forse mai si scoprirà veramente chi ha ordinato l’assassinio.

Le indagini languono. Il capo delle guardie del corpo è in cella di isolamento. Il capo della polizia ha dovuto smentire che il premier (non si sa per quanto) Claude Joseph sia implicato nell’omicidio (come ha sostenuto la tv di Bogotà). Gli oltre venti ex militari colombiani accusati di essere i killer materiali rimangono in carcere, come il medico-pastore Christian Sanon, l’haitiano da anni residente in Florida accusato dalle autorità di Portau-Prince (già, ma quali?) di aver assoldato i mercenari. Un’ipotesi che non convince neppure Fulton Armstrong, ex capo della Cia a Haiti: i responsabi­li, dice al Guardian, vanno ricercati nella MRE, la «moralmente ripugnante élite». Poche famiglie che controllan­o l’economia di un Paese dove il 70% degli 11 milioni di abitanti vive con meno di 2 dollari al giorno. Gli stessi potenti che lavorano dietro le quinte per tener buone le gang criminali e far ripartire il teatrino della politica. Dove anche i diplomatic­i stranieri, con i loro cambi di cavallo, giocano la loro parte.

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A sinistra il primo ministro Claude Joseph con Martine Moïse al suo arrivo a Portau-Prince (Ap)
Ritorno a sorpresa A sinistra il primo ministro Claude Joseph con Martine Moïse al suo arrivo a Portau-Prince (Ap)

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