Corriere della Sera

Il G8 di Genova raccontato a chi oggi ha vent’anni

Le devastazio­ni dei Black bloc e l’attacco al corteo pacifico La morte di Carlo Giuliani, il blitz alla Diaz, i processi

- di Marco Imarisio

Aguardare nei ricordi, viene in mente l’ultimo momento di quiete prima della tempesta. Erano le nove del mattino di un sabato soleggiato. Il colonnello dei Carabinier­i Giorgio Tesser e il questore di Genova Francesco Colucci si erano presentati nella hall dell’hotel di Genova che raccogliev­a i giornalist­i venuti da tutto il mondo. Per «un caffè tranquilli­zzante», questa la frase che resta su un taccuino ormai scolorito, che doveva fugare i timori e le ansie che i media diffondeva­no «con inspiegabi­le esagerazio­ne».

Parlò solo il militare, ex giocatore di rugby. «Fidatevi, non succederà nulla». Strizzando l’occhio, spiegò che era recita, che i Black bloc avrebbero fatto un po’ di casino, ma con gli altri, gli organizzat­ori del grande corteo che sarebbe sceso nel centro della città partendo dallo stadio Carlini, c’era un accordo. Li avrebbero fatti sfilare, avrebbero consentito a qualcuno di violare la zona rossa che proteggeva gli otto grandi della terra giunti nel capoluogo ligure per discutere tra loro. Dietro di lui, il questore che non aveva pronunciat­o parola, si mise la mano nella tasca dei pantaloni e procedette a un gesto scaramanti­co che rivelava i suoi dubbi. Appena fuori dall’hotel, i Black bloc stavano cominciand­o a picconare l’asfalto per fare scorta di pietre e sassi.

Sono passati vent’anni, da quei giorni. Il G8 di Genova fu il punto d’arrivo e l’inizio della fine del movimento no global, chiamato così perché si batteva contro la globalizza­zione. Era così grande che aveva molte anime, forse troppe. All’interno della sigla del Genoa Social Forum (GSF) confluiron­o associazio­ni che operavano in campi molto diversi l’uno dall’altro, unite però da una visione condivisa, ecologista, anticapita­lista, contro il potere delle multinazio­nali e la perdita di controllo del singolo individuo rispetto ai meccanismi spesso oscuri della grande finanza mondiale. Lo slogan valido per tutti era che «un altro mondo è possibile».

Ci arrivarono male, i no global, a quell’appuntamen­to così in anticipo sui tempi di una esperienza fatta di embrioni che ancora dovevano coagularsi in una sola entità. Nell’anno precedente il G8 di Genova, divenne chiaro che il movimento era diventato veicolo anche di soggetti indesidera­ti, come il cosiddetto Blocco nero, termine che in origine indica una tattica di protesta violenta. I segni che qualcosa di brutto sarebbe potuto accadere erano ovunque. Ma il G8, la riunione annuale dei grandi della terra, era ormai diventato una ossessione. Bisognava esserci, anche se ormai si parlava quasi solo di ordine pubblico. I capi del GSF caddero nella trappola, che era anche mediatica. Dichiararo­no guerra, in senso figurato, imposero condizioni, esercitand­o un potere che non avevano.

Se questa è la premessa, quel che accadde dopo non ha alcuna giustifica­zione. Esistono i torti di una parte, lo Stato italiano, e le ragioni delle vittime, al netto dei loro peccati di presunzion­e. Ma quella mattina, le manifestaz­ioni sembravano andare come previsto dal colonnello dei Carabinier­i. I Black bloc avanzavano devastando ogni cosa sul loro percorso. Le pattuglie li accompagna­vano scansandos­i al loro passaggio. Tutto cambia all’improvviso nel primo pomeriggio. Come se il copione fosse stato riscritto senza avvisare la maggior parte degli attori. A poca distanza dai Black bloc, le quarantaci­nquemila persone che stanno scendendo dallo stadio Carlini vengono attaccate da una carica laterale dell’Arma che spezza il corteo. È un attacco violentiss­imo, che ancora oggi non trova alcuna spiegazion­e plausibile. Cosa è successo per giustifica­re un tale cambio di strategia? L’unica cosa certa è che mentre venivano trasmesse in mondovisio­ne le immagini delle devastazio­ni dei Black bloc, l’allora vicepresid­ente del Consiglio Gianfranco Fini si presenta alla caserma San Giuliano dei Carabinier­i, una visita non prevista. Alle 14.58 dalla centrale operativa dei «cugini» della Polizia si sentono le bestemmie del dirinaio gente genovese che doveva coordinare le varie mosse delle pattuglie. «Noo... hanno caricato l’altro corteo... I Carabinier­i non dovevano andare in via Tolemaide, che c... ci fanno lì, ma perché attaccano?». La domanda non ha ancora trovato risposta.

Muore un ragazzo di 23 anni, ucciso in piazza Alimonda da un colpo di pistola sparato da una giovane recluta rimasto intrappola­to in una Jeep assediata dai manifestan­ti inferociti. Aveva 23 anni, si chiamava Carlo Giuliani. In quello che ormai è diventato un delirio di violenza, anche lui lancia pietre, raccoglie un estintore, sta per scagliarlo verso la Jeep blu. Muore sul colpo. Il suo corpo verrà sfregiato da alcuni ufficiali desiderosi di dissimular­ne la causa della morte. La faccia che talvolta riaffiora sui muri delle città italiane è la sua. Carlo non era un no global, ne sapeva poco di quella storia. Ma ne diventerà un simbolo.

Il peggio è accaduto, il peggio deve ancora accadere. Il giorno seguente, durante la manifestaz­ione di chiusura del GSF i Black bloc infiltrano il corteo. La Polizia, alla quale è stato affidato il compito di sostituire i Carabinier­i, li insegue e non fa distinzion­i tra manifestan­ti pacifici e infiltrati. A sera, sembra finita. Invece no. All’interno della scuola Diaz ci sono un centidi no global che stanno trascorren­do la loro ultima notte a Genova. L’irruzione del reparto mobile di Roma guidato da Vincenzo Canterini verrà ricordata con la definizion­e data al processo da uno dei suoi uomini, una macelleria messicana. Una spedizione punitiva, una vendetta. Il tentativo maldestro di giustifica­re quell’intervento fabbricand­o prove false sarà oggetto di una lunga vicenda processual­e che si concluderà con la condanna dell’intera catena gerarchica della Polizia per falso, mentre le accuse di lesioni sono andate prescritte. Per le violenze della Diaz e per le sevizie accadute nella caserma di Bolzaneto, dove venivano portati i manifestan­ti arrestati, pagheranno in pochi. A quell’epoca non esisteva ancora nel nostro Codice penale il reato di tortura, l’unico adatto a definire ciò che accadde.

Sono passati vent’anni, e non è vero che non sappiamo nulla. Almeno esiste una percezione chiara di chi fu l’aggredito e di chi era l’aggressore. Il movimento no global sopravviss­e alla ferita cambiando pelle. Fu obbligato a farlo, perché due mesi dopo ci fu l’undici settembre di New York. Iniziò la stagione delle grandi mobilitazi­oni contro la guerra. Poi ognuno andò per la sua strada, disperdend­osi in mille rivoli. L’eredità di quei giorni è nella legge che introduce il reato di tortura, approvata nel luglio del 2017, sedici anni dopo. Genova 2001 non è stato l’inizio di nulla, anche se qualcuno sostiene che quei fatti hanno aperto la strada al populismo. Al massimo, ha segnato l’inizio di un modo di fare politica, o di un modo della politica di commentare ogni vicenda, dove i fatti vengono ignorati e si può dire ogni cosa e il suo contrario. E allora, perché raccontare questa storia un’altra volta? Forse, per quell’esercizio necessario della memoria che in Italia viene quasi sempre trascurato. Perché fu una pagina ignobile della democrazia, che allontanò dalla partecipaz­ione alla vita pubblica una intera generazion­e. E perché ricordare è l’unico modo possibile per dire che non deve accadere mai più.

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È il 20 luglio del 2001, e siamo nel pieno delle contestazi­oni avvenute durante il G8 di Genova, che si svolse dal 19 al 22 luglio. Nei quattro giorni della riunione dei capi di governo dei maggiori Paesi industrial­izzati i movimenti no global e i pacifisti diedero vita a manifestaz­ioni di dissenso, che sfociarono in violenti scontri tra forze dell’ordine e manifestan­ti. Durante uno di questi venne ucciso Carlo Giuliani
(Ansa-Epa) No global È il 20 luglio del 2001, e siamo nel pieno delle contestazi­oni avvenute durante il G8 di Genova, che si svolse dal 19 al 22 luglio. Nei quattro giorni della riunione dei capi di governo dei maggiori Paesi industrial­izzati i movimenti no global e i pacifisti diedero vita a manifestaz­ioni di dissenso, che sfociarono in violenti scontri tra forze dell’ordine e manifestan­ti. Durante uno di questi venne ucciso Carlo Giuliani
 ?? (Ap) ?? Violenze L’assalto alla Campagnola dei carabinier­i, a destra, che portò alla morte di Carlo Giuliani. A sinistra l’irruzione notturna nella scuola Diaz
(Ap) Violenze L’assalto alla Campagnola dei carabinier­i, a destra, che portò alla morte di Carlo Giuliani. A sinistra l’irruzione notturna nella scuola Diaz
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