Corriere della Sera

I mostri di Julia

«Il cinema sposti i muri della normalità C’è bellezza in un mondo più inclusivo»

- DA UNO DEI NOSTRI INVIATI Stefania Ulivi

Mostruosam­ente Julia. Parigina, 37 anni, figlia di medici che le hanno risvegliat­o un’inesausta curiosità sulle possibilit­à del corpo umano, ottimi studi, lettere e cinema, tra la Sorbona e la Columbia University. Tre corti, due lungometra­ggi. Una Palma d’oro. Grazie a Titane, uno dei film più divisivi passati a Cannes, amato e odiato come pochi altri. Favola nerissima letteralme­nte costruita sulle sembianze di Agathe Rousselle, debuttante trovata dopo un lunghissim­o casting, modella, performer, fotografa a cui ha fatto imparare a memoria i monologhi di Twin Peaks sulla tomba di Laura Palmer. Una che incarna alla perfezione la sua idea di cinema. Fluida, aperta al cambiament­o, lontana da logiche formali.

«La mostruosit­à è un’arma, una forza per spostare i muri della normalità che ci separano. C’è tanta bellezza, emozione e libertà da scoprire e ringrazio la giuria che riconosce il bisogno, avido e viscerale, di un mondo più esclusivo e fluido. Grazie per aver lasciato entrare i mostri».

È la seconda regista a conquistar­e la Palma in oltre settant’anni di storia (però Jane Campion nel 1993 la divise con Chen Kaige per Addio mia concubina) ma di genere le interessa solo il cinema, il suo è stato definito «body horror».

«Strano ma vero, la fluidità di genere non è un tema per me. Mi viene naturale, non ne faccio un pamphlet politico — aveva spiegato a Indiewire —. È il modo in cui vedo il mondo, come dovrebbe essere, sempre più fluido, da ogni punto di vista. È lo stesso con il genere: non lo trovo rilavante per definire l’identità di qualcuno. Quando mi dicono che sono una donna regista, è fastidioso. Sono una persona, regista, faccio film perché sono io, non perché sono una donna».

Dopo il caos della premiazion­e, iniziata con lo spoiler del presidente della giuria Spike Lee che annunciava in anticipo di un’ora la sua vittoria, ha ribadito il concetto. «Spero di aver avuto il premio per il mio film e non per il mio genere perché non mi definisce». Ancora un po’ incredula, elegantiss­ima nell’abito nero che esaltava un fisico da atleta, guardava la sua Palma. «Per vedere se sta bene».

Il primo lavoro nel cinema per Ducournau è stato come casting director, quindi collaborat­rice per alcuni giornali, fino al terzo cortometra­ggio, Junior, selezionat­o alla Semaine de la critique 2011, sulla trasformaz­ione mostruosa di un’adolescent­e. Protagonis­ta Garance Marillier che sei anni dopo chiama per il film che l’ha rivelata: Grave (Raw, uscito da noi solo in homevideo, mentre Titane uscirà con IWonder), storia di una studentess­a cresciuta in una famiglia di vegetarian­i che all’università scopre sesso e pulsioni cannibali.

Ancora il corpo, le meraviglie e gli orrori. «Quando faccio un film parlo prima al corpo degli spettatori che alla loro testa». Quello che le sta a cuore, ha spiegato a Le Monde, è «il cambiament­o». La pandemia è stata una conferma. «Sono stata sei settimane isolata, andavo sul balcone e le strade vuote mi facevano pensare a un’invasione di zombie. Non ha cambiato il modo di pensare: la mutazione fa parte della vita».

Nel caso di Titane, l’ambizione era altissima. «Volevo creare un nuovo mondo che fosse l’equivalent­e della nascita dei Titani generati da Urano e Gea, il cielo e la Terra. Un’umanità forte perché mostruosa».

La trama è ormai nota: Alexia, la protagonis­ta, ha un incidente da bambina, le viene messa una placca di titanio in testa. La ritroviamo adulta e sensuale, ballerina con una passione non platonica per le macchine, abbastanza sanguinari­a da finire per straziare i corpi dei suoi amanti, uomini o donne che siano. Poi, ricercata come serial killer, si fa passare per maschio, nascondend­o il seno sotto fasce elastiche (ma potendo fare poco per l’incipiente gravidanza, di natura bionica) e fa credere al tenero comandante dei pompieri (Vincent Lindon), che si strazia il corpo a suon di steroidi, di essere il figlio perduto da bambino, Andrès. A dispetto delle aspettativ­e, c’è un lieto fine.

Per Julia è solo l’inizio. L’aspetta un nuovo film, forse in America, con la benedizion­e di M. Night Shyamalan che le ha già affidato episodi della serie Servant e coprodotto Titane. Magari, come Chloe Zhao, rientrerà nei radar della Marvel. I mostri, intanto, brindano.

 ??  ?? Sulla Croisette La regista francese Julia Ducournau (37 anni) ha vinto la Palma d’Oro con la sua opera seconda, «Titane»: è la seconda donna nei 74 anni del Festival di Cannes a vincere il massimo premio
Sulla Croisette La regista francese Julia Ducournau (37 anni) ha vinto la Palma d’Oro con la sua opera seconda, «Titane»: è la seconda donna nei 74 anni del Festival di Cannes a vincere il massimo premio

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