Il secondo Tour del Cannibale Pogacar fenomeno circondato da ammirazione e dubbi
Il bis in giallo a 22 anni oltre gli scettici: «Sono felice»
A chi si chiede dov’è il trucco, a chi istiga polemiche contando i watt e i colpi di pedale di troppo o aprendo armadi a caccia di scheletri nascosti, il nuovo Cannibale ha risposto ieri dal podio di Parigi con un sorriso radioso: «Lo scorso anno mi ero scritto il discorso, ora vado a braccio: voglio solo ringraziarvi e dirvi che sono felice».
A 22 anni Tadej Pogacar ha tutte le ragioni per essere felice: è il più giovane della storia ad aver vinto due Tour de France consecutivi, in tre stagioni ha conquistato quasi tutte le corse cui ha partecipato, ha ribaltato il Tour 2020 negli ultimi 5 chilometri, conquistato quello del 2021 con due settimane di anticipo prendendosi tre delle quattro maglie di leader (gialla, bianca, a pois) e rifilando 5’ al secondo. Fenomeno dei cui «numeri» si sa poco, certo, visto che la sua Emirates rifiuta di farli visionare agli scettici. Inigo San Millan — lo scienziato che lo segue — dice che non ha mai visto valori così alti nei test, anzi che il Pogacar di quest’anno ha tirato il freno per pochezza degli avversari. Negli sprazzi in cui ha spinto a fondo (la cronometro di Laval e i colli di Romme e della Colombière) ha sviluppato potenze che mai nessuno prima. Il nostro Colbrelli ne certifica la classe spiegando che «anche quando al rifornimento Tadej accelera per prendere una borraccia resti incantato per come gira le gambe». Oltre ai numeri, impressionano la maturità e la naturalezza nel gestire compagni, avversari, crisi e sospetti.
Poga ha cominciato a pedalare da bambino ammirando Primoz Roglic, di 9 anni più vecchio, a cui lo scorso anno ha strappato la maglia gialla all’ultima tappa. Roglic è stato l’uomo che ha portato una nazione ciclisticamente povera sul tetto del mondo. «Il dispiacere per averlo battuto — ha raccontato — per mesi mi ha tolto il gusto della vittoria. Solo in inverno ho metabolizzato. Quest’anno la gioia è stata più pura, ma l’emozione meno intensa». Con lo stesso sorriso di ieri sul podio (assieme a Vingegaard e Carapaz), Pogacar spazza via i sospetti che però comprende «perché sono gli stessi verso chiunque abbia vinto o vincerà: il ciclismo sconta il suo passato sporco, il mio è pulito e sano». Paga il suo strapotere, la sua nazionalità (la Slovenia è il cuore dell’Operazione Aderlass, il più grande scandalo dopante degli ultimi anni), qualche peccatuccio nel curriculum del suo mentore Hauptman e del manager svizzero Gianetti.
Ieri, sui Campi Elisi, Tadej ha condiviso volentieri la celebrazione con quella di Wout Van Aert che dopo aver conquistato il Mont Ventoux e la cronometro di Saint-Emilion, si è inventato sprinter puro spezzando il sogno di record (35 vittorie) di Cavendish. Van Aert domina su ogni terreno e in ogni momento della stagione, dai prati del cross ai Giochi dove disputerà sia la prova in linea (contro Pogacar, tra gli altri) che la cronometro, sfidando Pippo Ganna. Se i sospetti resteranno tali, il ciclismo vivrà anni di sfide tra fenomeni capaci di entusiasmare e trascinare come poche volte prima nella sua storia.
Pulito e sano «Capisco i sospetti, se vinci è normale, ma il mio passato è pulito e sano»