Corriere della Sera

SUL REDDITO UN CONFLITTO TRA EX ALLEATI POPULISTI

- Di Massimo Franco

Non sorprende lo scontro di ieri in Consiglio dei ministri sul reddito di cittadinan­za. Al di là del modo in cui il governo ha deciso di rifinanzia­rlo, definito «beffardo» dal leghista Giancarlo Giorgetti, il tema è quello del ruolo e del potere di veto del M5S. Col grillismo in caduta libera elettorale, era prevedibil­e che uno degli ultimi vessilli della sua agenda sarebbe stato attaccato. Significhe­rebbe l’archiviazi­one del periodo coinciso con il suo primato nel governo dopo la vittoria nel 2018.

Lo stesso segretario del Pd, Enrico Letta, ammette che il reddito «va completame­nte modificato e trasformat­o per l’altra missione che aveva: quella sul tema del lavoro, dove non ha funzionato». Averlo presentato come uno strumento per aiutare i ceti più deboli in attesa di un lavoro è stato un errore. Al di là degli abusi diffusi, sarebbe stato meglio chiamarlo col suo nome: un sussidio per assistere chi è disoccupat­o. Intimare a chi lo critica di non azzardarsi a toccarlo, riflette una posizione comprensib­ile, ma alla lunga poco difendibil­e. Il problema è che la nomenklatu­ra grillina non può fare altro.

Il Movimento è in subbuglio. Il «nuovo corso» di Giuseppe Conte appare già in bilico. Fare le barricate sul reddito di cittadinan­za è un modo per tentare di rilegittim­arsi agli occhi della base dei Cinque Stelle; di smentire chi accusa i vertici di avere svenduto i valori del 2018 sull’altare del potere ministeria­le. È su questo sfondo di nervosismo che va inserito il sostegno del Pd e del ministro dell’Economia, Daniele Franco.

Palazzo Chigi sa che, se vuole cambiare un provvedime­nto controvers­o fin dall’inizio, e ancora di più nella sua applicazio­ne pratica, deve mostrare di difenderlo: anche mettendo nel decreto fiscale 200 milioni di euro tirati fuori dalle pieghe del bilancio. E il Pd, al momento suo alleato, sa che per il M5S rappresent­a un simbolo non sacrificab­ile senza una deflagrazi­one interna. Per lo stesso motivo, Lega, FI, Iv e la destra d’opposizion­e di FdI d’Italia criticano la decisione. E pazienza se il reddito di cittadinan­za fu approvato nel periodo del governo M5S-Lega, con Conte premier e Matteo Salvini vice e ministro dell’Interno. Acqua passata.

Ora si celebra lo scontro tra il ministro del Carroccio, Giorgetti e quello grillino Stefano Patuanelli. A cambiare lo sfondo è stata in parte la pandemia del Covid, che ha acuito la povertà; in parte una virata della politica economica, incline a sostenere il cosiddetto «debito buono». Naturalmen­te, nei prossimi mesi riaffiorer­à la domanda se il reddito grillino sia in grado di acquistare nuove virtù, o rappresent­erà solo uno sperpero di denaro pubblico. Al momento sembra l’ennesimo scontro tra ex sodali populisti, magari con un occhio alla prossima legge di bilancio.

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