Corriere della Sera

Il duello di Torino tra Letta e Salvini: qui test nazionale

I leader chiudono la campagna elettorale Incognita M5S sul match Lo Russo-Damilano

- Gabriele Guccione Giulia Ricci © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

TORINO L’ultima sfida va in scena in un quartiere simbolo del lascito dei Giochi del 2006: per chi continua a vederci un’occasione mancata, e per chi pensa, dopo cinque anni di giunta M5S e No Olimpiadi, che da quell’eredità si debba ripartire. Qui, agli ex Mercati generali, Matteo Salvini ed Enrico Letta, con i due candidati Paolo Damilano e Stefano Lo Russo, non si incontrano per una manciata di metri.

Li separano due isolati. Il leader della Lega fa una puntata, attorniato da un gruppo di leghisti, davanti alle palazzine del Villaggio olimpico. Da ministro dell’Interno ha contribuit­o a farle sgomberare insieme alla sindaca uscente Chiara Appendino, dopo che nel 2013 erano state occupate da centinaia di profughi dall’Africa. «Questo luogo era inavvicina­bile per l’incuria del centrosini­stra — attacca Salvini —. Poterci tornare senza scorta è una soddisfazi­one».

Due vie più in là, il segretario del Pd apre la sedia pieghevole diventata lo strumento principale della campagna di Lo Russo e si mette al centro dei giardini di piazza Galimberti per ascoltare i torinesi che vogliono confrontar­si. Una piccola folla li circonda mentre i bambini giocano. Due di loro, Nicolò e Aurora, si avvicinano: «I parchi sono da rimettere a posto, vogliamo più piste ciclabili. E basta inquinamen­to». Letta li indica: «Loro sono la dimostrazi­one che Stefano sarà il sindaco del futuro».

Dall’altra parte della piazza, Damilano annuncia che abbasserà il prezzo del biglietto dei mezzi pubblici a un euro e fa il nome del suo vicesindac­o. Una donna con il velo si affaccia incuriosit­a dal balcone, Salvini le fa un cenno: «Le persone che ci salutano ora non sono solo piemontesi o italiane, l’integrazio­ne è possibile nel nome delle regole». Damilano concorda. Questa però non è una banlieue, ma un quartiere popolare, stretto tra lo stadio Filadelfia e il campus di Economia, che fatica ancora a trovare una nuova identità dopo la chiusura dei vecchi mercati, trasformat­i in villaggio olimpico quindici anni fa.

Le teste bianche dei pensionati Fiat o di chi un tempo scaricava le cassette della frutta si mischiano con quelle delle seconde generazion­i di una immigrazio­ne non più recente. «Io sono qui da 30 anni, faccio la badante — esordisce davanti al segretario del Pd la signora Moufida —, i miei figli sono nati e cresciuti qui, fanno l’università, non possono essere italiani ma sarebbero ancora più stranieri in Marocco. Fate qualcosa per noi, per lo ius soli». Il leader le stringe la mano: «La verità è che dobbiamo fare di più, come Lo Russo che si è messo in ascolto, e per questo i cittadini lo hanno già scelto».

Per il test finale però bisognerà aspettare lunedì. Letta è fiducioso: «Stefano oggi è un leader nazionale e per questo vincerà. Torino, oggi al centro della scena, tornerà capitale». Dall’altro lato della barricata Salvini incoraggia Damilano e ci spera: «Vincere qui sarebbe riscrivere la storia di questo Paese». Ora la sfida sarà portare gli elettori alle urne. E conquistar­e il voto di chi ha governato fino a oggi.

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Enrico Letta e Stefano Lo Russo Centrosini­stra
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Matteo Salvini e Paolo Damilano
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Centrodest­ra

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