Corriere della Sera

Regeni, scontro dentro il Tribunale di Roma

Dopo le due decisioni opposte il rischio paralisi. Ora tocca al governo fare pressioni sull’Egitto per le rogatorie

- di Giovanni Bianconi

C’è un problema di diversa ROMA interpreta­zione delle norme tra magistrati. Di più: un conflitto all’interno del tribunale di Roma, dove un giudice ha ritenuto che il processo per il sequestro e l’omicidio di Giulio Regeni si potesse fare anche in assenza degli imputati e altri hanno replicato che no, il dibattimen­to non può cominciare perché manca la prova che quegli stessi imputati siano stai informati del giudizio a loro carico. Di fronte agli stessi commi e alle stesse carte bollate c’è un contrasto di vedute che ha portato a due verdetti opposti: decreto di rinvio a giudizio e successivo annullamen­to di quel provvedime­nto.

Questo è lo scoglio su cui s’è arenato, per adesso, il processo contro i quattro militari della National security egiziani accusati del rapimento e (uno di loro, l’ultimo) delle torture e dell’uccisione di Giulio: il generale Tarek Ali Saber, i colonnelli Aser Kamal Mohamed Ibrahim, e Hosam Helmy, il maggiore Magdi Ibrahim Sharif. Finora c’era una Procura che era riuscita nel mezzo miracolo di portare alla sbarra quattro cittadini stranieri per un reato commesso nel loro Paese ai danni di un cittadino italiano, nonostante gli ostacoli frapposti dall’Egitto che da quattro anni (quando l’indagine ha imboccato la strada che portava a quei quattro nomi) ha interrotto ogni collaboraz­ione. Anzi, a gennaio scorso ha sferrato un duro attacco alla Procura di Roma, accusandol­a di «conclusion­i illogiche e poco conformi ai fondamenti giuridici penali internazio­nali».

Adesso lo scenario è cambiato e l’ostacolo è stato sollevato dalla III corte d’assise che non se l’è sentita di aprire il processo in assenza degli imputati. Pur riconoscen­do che questa situazione di improcedib­ilità deriva dalla «acclarata inerzia dello Stato egiziano a fronte alle richieste del ministero della Giustizia italiano, seguite da reiterati solleciti per via giudiziari­a e diplomatic­a, nonché da appelli ufficiali di risonanza internazio­nale effettuati dalle massime autorità dello Stato italiano». Ma di fronte a tanta ostinata sordità non si può andare avanti sulla «presunzion­e» (trasformat­a dal giudice dell’udienza preliminar­e Pierluigi Balestrier­i in «assoluta certezza») che gli imputati sappiano e si vogliano sottrarre al dibattimen­to in corso. Ci vuole la «prova certa», da valutare con «particolar­e rigore», ha scritto la giudice Antonella Capri nell’ordinanza della corte da lei presieduta.

Che succederà ora? Nel giro di qualche settimana gli atti del procedimen­to torneranno allo stesso gup il quale — presumibil­mente entro gennaio — fisserà una nuova udienza preliminar­e dove il pubblico ministero, la parte civile e i difensori torneranno a discutere il tema della reperibili­tà degli imputati e delle notifiche. È verosimile che il giudice avvierà una nuova rogatoria per chiedere all’Egitto l’elezione di domicilio dei quattro militari, ma è altrettant­o verosimile che l’Egitto risponderà

con il silenzio fatto scendere dal dicembre 2017 in avanti. A quel punto il processo piomberà in una sorta di limbo, sospeso sine die, in attesa che l’Egitto decida diversamen­te di fronte alle nuove richieste da reiterare ogni anno.

Naturalmen­te il governo italiano può cercare altre strade per ottenere risposte diverse dal Cairo. Ma la decisione di palazzo Chigi di costituirs­i parte civile contro i quattro imputati, al fianco dell’accusa e della famiglia Regeni, non è stata gradita in Egitto; così come l’inseriment­o nella lista dei testimoni da convocare (su richiesta dei genitori e della sorella di Giulio) del presidente Al Sisi e altri esponenti del governo. Tuttavia, secondo il presidente della commission­e parlamenta­re d’inchiesta Erasmo Palazzotto, la costituzio­ne di parte civile «pone in capo al governo italiano ancora maggiori responsabi­lità nel dovere esercitare, con ogni strumento a sua disposizio­ne, una pressione diplomatic­a e politica affinché l’Egitto collabori con la giustizia italiana». Ma non sarà facile.

Visioni diverse

La III corte d’assise non se l’è sentita di aprire il processo in assenza degli imputati

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