Corriere della Sera

Il caso Yara, la tragedia diventa un film

L’omicidio, le lunghe indagini e la vicenda processual­e in un racconto firmato da Giordana

- Emilia Costantini

ROMA Il 26 novembre 2010 è un venerdì, ma non un venerdì qualunque. Yara Gambirasio, una ragazzina di 13 anni di Brembate, va al centro sportivo dove si allena da tempo per la ginnastica ritmica, la sua passione. Percorre il solito tragitto a piedi, circa 700 metri da dove abita e arriva a destinazio­ne alle 17,30. Esce dalla palestra alle 18,40 e il suo rientro a casa è previsto intorno alle 18,45. Ma quei cinque minuti diventeran­no ore, giorni, mesi, perché Yara non tornerà più.

Il suo corpo verrà ritrovato senza vita in un campo tre mesi dopo, in avanzato stato di decomposiz­ione, il 26 febbraio 2011: sdraiata sulla schiena, le braccia incrociate sulla testa e le gambe divaricate. È stata uccisa la sera della scomparsa, non ha subito violenza carnale, ma le sue povere membra riportano numerose ferite di un’aggression­e violenta. Abbandonat­a al gelo, è morta di stenti e ipotermia. Sulle sue mutandine viene scoperta una traccia di materiale genetico che si riferisce a un Dna maschile. E parte la caccia all’assassino: il tristement­e famoso ignoto 1.

La sua storia è diventata un film, Yara, impersonat­a da Chiara Bono, prodotto da TaodueFilm con la regia di Marco Tullio Giordana, il 5 novembre su Netflix e, in seguito, su Canale 5. «Quando mi è stato proposto, la prima reazione è stata: no, non voglio toccare un tizzone ardente — esordisce il regista — poi mi ha convinto la sceneggiat­ura ben documentat­a. Ma il compito di un film è di incantare con tutti i personaggi, in questo caso anche con la figura dell’assassino e come regista mi pongo la domanda: è tutto vero o si tratta di un presunto errore giudiziari­o? Sembra assurdo ma, dopo un lungo processo, una sentenza definitiva e il colpevole Massimo Bossetti (Roberto Zibetti) all’ergastolo, ci sono ancora tanti innocentis­ti sui social. Il cinema però è arte, uno strumento più forte dell’atto giudiziari­o in sé. Qui raccontiam­o la tragedia di un’assenza».

Figura centrale è il pubblico ministero Letizia Ruggeri, donna forte, determinat­a, coraggiosa, interpreta­ta da Isabella Ragonese: «Abbiamo scelto un punto di vista oggettivo — spiega lo sceneggiat­ore Graziano Diana — per seguire il lungo percorso delle indagini, durato anni, così come è durata anni la scrittura della sceneggiat­ura, dove non ci arroghiamo il diritto di indicare il colpevole, raccontiam­o i fatti». Il film è severament­e poggiato sull’indagine del magistrato Ruggeri: anch’essa madre, nella realtà, di una ragazzina della stessa età di Yara, prende a cuore quell’atroce delitto. E nel ruolo dei genitori della vittima Mario Pirrello e Sandra Toffolatti.

«Credo che sia un dovere per chi fa il nostro mestiere, far conoscere al grande pubblico, in particolar­e ai più giovani, personaggi e fatti importanti, di cui resti viva la memoria — conclude il produttore Pietro Valsecchi —. Per il drammatico omicidio della piccola Yara, abbiamo voluto ricostruir­e non solo i passi di un’indagine unica nel suo genere, ma entrare nell’animo di chi ha lottato per anni tra enormi difficoltà per arrivare all’individuaz­ione e alla condanna del colpevole. Gli innocentis­ti? Certo, esistono come i no vax».

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Chiara Bono nei panni di Yara Gambirasio in una scena del film
Vittima Chiara Bono nei panni di Yara Gambirasio in una scena del film

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