Corriere della Sera

Fede Galizia, sacerdotes­sa di una pittura senza tempo (e pioniera delle artiste)

- di Alessandra Quattordio

Quando e dove nacque esattament­e nessuno lo sa. Di certo Fede Galizia diede prova delle sue qualità pittoriche a Milano tra il 1587 e il 1630. Appartenne a quella schiera di artiste elette — Sofonisba Anguissola, Lavinia Fontana o Barbara Longhi — che per prime ebbero accesso alla profession­e di pittrice in un’epoca in cui il pennello era appannaggi­o maschile.

La sua famiglia proveniva da Trento, dove il Concilio, aperto nel 1545 e chiuso tra alterne vicende nel 1563 (quando dominavano il colto principe-vescovo Cristoforo Madruzzo e il nipote Ludovico), aveva opposto argini al protestant­esimo e imposto rigidità ai costumi. Ma è provato che il nonno, il pittore Giacomo Antonio, fosse cremonese, fatto che attesta l’origine lombarda dei Galizia. Di fatto il padre Nunzio, pittore anch’egli, decise di trasferirs­i a Milano nel ‘73 per sfuggire a una committenz­a che a Trento si rivolgeva ad altri artisti (Ligozzi e Carneri), e trovare nuovi sbocchi. Si sa di lui che era miniaturis­ta, incisore, autore di apparati effimeri, costumi, ventagli e profumate sculturine in pasta muschiata, ambite dai cultori delle Wunderkamm­er di tutt’Europa. Trasmise la sensibilit­à per il lusso alla figlia che, nella tela del 1596 Giuditta e Oloferne (replicata in almeno sei versioni), inanellò fra i biondi capelli dell’eroina, d’aspetto tutt’altro che efferato, monili ridondanti di perle e pietre che trovano pendant nell’abito sfarzoso ricamato di gemme.

Nell’ambiente milanese Fede aveva intrecciat­o importanti relazioni con artisti e letterati, il Lomazzo e il poeta Gherardo Borgogni, che ritrasse. Attesta le sue frequentaz­ioni anche il Ritratto di Paolo Morigia (1592-1595), scrittore attento alle imprese degli uomini d’arte. Fu lui a contribuir­e alla diffusione della fama dei milanesi Miseroni e Saracchi, autori di oggetti in oro, argento, gemme, a Praga alla corte di Rodolfo II d’Asburgo, sensibile a tutto ciò che fosse improntato al gusto del «meraviglio­so».

Alcune opere di Fede stessa, come riporta il Borgogni, giunsero a lui nel 1593 grazie all’Arcimboldo, anch’egli milanese e assai apprezzato dal sovrano. In particolar­e, di Fede, più che i ritratti, spesso di piccolo formato, e i quadri religiosi, furono le nature morte, di ascendenza fiamminga e «ricche d’anima», ad accendere le bramosie della committenz­a, sulla via che dal Figino conduceva al Caravaggio, e a consacrarn­e la fama.

Ma quale fu la sua vita privata? Mai si sposò e affiancò, superandol­o, il padre nell’attività prestata a governator­i spagnoli e corte sabauda. Prova del loro rapporto è l’Allegoria celebrativ­a di Candido Menochio

e Margherita Candiani (1605-06), in cui a lei si deve la raffiguraz­ione su rame dei volti, a lui la cornice dipinta su tavola. Ultima traccia di Fede a Milano, devastata dalla peste, il testamento redatto nel 1630. Ma il documento non comprova la sua morte. I fili della vita della pittrice compongono una trama ancora aperta, in attesa che giunga luce su una delle punte degli albori del barocco lombardo.

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Donna e artista Ritratto di Paolo Morigia, dipinto da Fede Galizia, oggi alla Pinacoteca Ambrosiana

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