Corriere della Sera

Sfiducia o effetto pandemia? L’incognita dell’affluenza

Lontani gli exploit per i sindaci del ’93. Al primo turno città sotto il 50%

- di Giuseppe Alberto Falci

ROMA Nel giorno in cui riaprono i seggi per la partita dei ballottagg­i gli occhi sono tutti puntati anche sulla percentual­e dei votanti. Al primo turno nei grandi capoluoghi quel numero è sceso al di sotto del 50%. A Roma, ad esempio, la partecipaz­ione dei cittadini si è fermata al 48,5%, 8,5 punti in meno rispetto al 2016. Un dato non dissimile a Torino, dove nel giro di cinque anni è calata di quasi dieci punti, passando dal 57,2 % al 48,1%. Una decrescita che non stupisce Antonio Noto, direttore dell’Istituto di sondaggi che porta il suo nome: «Il trend delle Amministra­tive è in flessione di elezione in elezione». Perché? «Il ruolo del sindaco — osserva — ha perso un po’ di importanza nell’immaginari­o collettivo. Nel 1993 si pensava potesse essere una sorta di governator­e. Tuttavia sappiamo tutti cosa è successo: la mancanza di denaro, la perdita di poteri, le inchieste giudiziari­e. Tutti elementi che hanno alimentato la disaffezio­ne dei cittadini».

E oggi nei ballottagg­i cosa succederà? «Generalmen­te — osserva — al secondo turno va alle urne il 60/70 per cento degli elettori che hanno partecipat­o al primo. E se la partecipaz­ione diminuisce ancora è più favorito il centrosini­stra perché ha un elettorato più fedele». Eppure c’è chi, come il sondaggist­a Nicola Piepoli, ritiene fisiologic­o che quel numerino, l’affluenza, continui ad abbassarsi. «Vorrei rassicurar­e tutti: il 50% dei votanti significa essere al livello degli Stati d’America, dell’Inghilterr­a. Io la chiamo saggezza popolare: vota chi ha interesse, gli altri restano a casa. Avviene nei paesi di alta civiltà, non siamo più nelle condizioni estreme del ’46 quando andava a votare oltre il 90% della popolazion­e». E al secondo turno? «Ci sarà una generale conferma di quello che è avvenuto al primo», taglia corto.

Ragiona invece così Alessandra

Ghisleri, direttrice di Euromedia Research: «Nel 2001 le elezioni comunali registrava­no un’affluenza dell’81%. La sfida delle Amministra­tive era molto sentita, c’era ancora partecipaz­ione, e soprattutt­o non c’erano i social. Ora un elettore su due diserta le urne perché c’è un senso di mancanza di indicazion­i, di rappresent­atività, di quel voto giusto che ciascuno vorrebbe trovare». È un effetto del governo Draghi, dell’esecutivo dei competenti? «Il gabinetto dell’ex governator­e della Bce potrebbe essere stato un termine di confronto importante», ammette ancora Ghisleri che non si sbilancia sui ballottagg­i: «Ogni città è una partita a sé». Eppure Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza politica, riavvolge il nastro e sostiene che l’aumento della disaffezio­ne parta da lontana e sia dipeso da tre fattori: «La scomparsa dei partiti di massa, l’esistenza di elettori mobili che vivono all’estero, l’invecchiam­ento della società».

Insomma, tutto è mutato da quel 1993, anno di introduzio­ne dell’elezione diretta dei sindaci. A confermarl­o anche il professor Alessandro Campi: «Hanno pesato la delegittim­azione dei partiti da Tangentopo­li in poi, l’esperienza dei governi tecnici e l’abbassamen­to dell’offerta politica. Ma questa volta potrebbe esserci stato un altro fattore frenante, il Covid, che ha cambiato l’ordine delle priorità delle famiglie. E chissà se inciderà la fiammata di polemiche su fascismo e antifascis­mo».

Un tempo le Amministra­tive erano molto sentite ora c’è un senso di mancanza di rappresent­atività Alessandra

Ghisleri

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