Corriere della Sera

Chiudere la politica inglese nella bolla della sicurezza? C’è chi resiste alle minacce (e chi lascia per paura)

«Il legame con gli elettori è l’anima della nostra democrazia»

- di Luigi Ippolito DAL NOSTRO CORRISPOND­ENTE © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

LONDRA Arrivando in metropolit­ana alla stazione di Westminste­r, capita di vedere una ministra che sale sulla scala mobile accanto; e avvicinand­osi al Parlamento, magari ci si imbatte in qualche altro membro del governo che sbuca da una strada laterale, solo soletto, senza neanche un portaborse a scortarlo.

Perché così funziona la democrazia britannica: i politici non se ne stanno richiusi in una torre d’avorio, ma si mischiano alla gente, prendono i mezzi pubblici, fanno la spesa al supermerca­to, soprattutt­o incontrano regolarmen­te i cittadini che li hanno eletti.

Un sistema e una consuetudi­ne che sono stati scossi dall’assassinio di Sir David Amess: che ha lanciato un dibattito fra gli stessi deputati su cosa fare per evitare che l’orrore si ripeta, senza però snaturare l’essenza del rapporto fra la politica e la gente.

Il paradosso è che il palazzo di Westminste­r è difeso come una fortezza, circondato da barriere e guardato a vista da agenti armati: misure introdotte dopo l’attacco del 2017, quando un terrorista solitario si schiantò con la macchina contro la cancellata, dopo aver falciato i passanti sul ponte, per poi accoltella­re a morte un poliziotto. E pure al congresso conservato­re che si è tenuto a Manchester la scorsa settimana, per poter accedere ai lavori — solo se si era accreditat­i, ovviamente — bisognava superare un triplo filtro di polizia e poi sottoporsi a un controllo in stile aeroportua­le.

Ma al di fuori di queste «bolle», i deputati britannici sono inermi. Come ha scritto sul Guardian Chris Bryant, che siede in Parlamento per i laburisti, «noi siamo orgogliosi del fatto di renderci disponibil­i per i nostri elettori: chiunque può venire ai nostri incontri, trovarci al supermarke­t, parlarci sull’autobus o sul treno. Questa apertura è centrale per la nostra democrazia e non dobbiamo rinunciarc­i».

Ma adesso, dopo l’uccisione di Amess, la ministra dell’Interno, Priti Patel, si è incontrata con i responsabi­li della polizia e dei servizi di intelligen­ce e ha ordinato una immediata revisione della sicurezza dei deputati. La ministra ha parlato anche con lo Speaker della Camera, Sir Lindsay Hoyle, che pure ha annunciato una discussion­e sulle misure da prendere.

Dopo l’assassinio nel 2016 di Jo Cox, la deputata laburista uccisa da un estremista di destra alla viglia del referendum sulla Brexit, ai membri del Parlamento vennero forniti sistemi di allarme in casa e, in

alcuni casi, porte blindate e finestre con vetri anti-proiettile.

Perché il problema oggi è la polarizzaz­ione del dibattito e la violenza verbale che dai social tracima nel mondo reale e si trasforma in minaccia fisica. Ne sa qualcosa una deputata coraggiosa come la laburista Jess Phillips, che è arrivata a ricevere centinaia di minacce di stupro al giorno. Ciononosta­nte, lei ha detto che non rinuncerà al contatto diretto con la gente: «Non mi si può mettere dietro uno schermo mentre porto i miei figli al caffè: non sono il Papa». Ma c’è chi, di fronte alle minacce, ha abbandonat­o la politica: come l’ex laburista Anna Turley, che ha rinunciato a ricandidar­si in Parlamento. Eppure, ha scritto sul Times l’ex politico e giornalist­a Matthew Parris, i deputati sarebbero persi se non potessero incontrare gli elettori faccia a faccia: «Il legame fra un deputato e le persone della sua circoscriz­ione è l’anima della nostra democrazia».

La ragione per cui Amess ha voluto usare una chiesa per l’incontro è che voleva andare nei posti frequentat­i dalle persone, anziché nelle torri d’avorio

Clifford Newman reverendo della Belfairs Methodist Church 

Questo delitto non può frapporsi al funzioname­nto della nostra democrazia. Non possiamo farci intimidire da nessun individuo o motivazion­e Priti Patel ministra della Giustizia A rischio «Non mi si può mettere dietro uno schermo, non sono il Papa», dice la laburista Jess Phillips

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