Corriere della Sera

Schwa, generi... Strumenti per una nuova lingua inclusiva

- Da una delle nostre inviate Cristina Taglietti

La lingua ha tempi lunghi e i traduttori sono spesso i primi a entrare in contatto con sensibilit­à diverse. Se l’inglese sostituisc­e he/she con they devi essere preparato

Ilide Carmignani

TORINO Non c’è tema del dibattito culturale che non approdi in qualche sala del Salone di Torino. Non poteva mancare quello del linguaggio inclusivo, non discrimina­torio, che in Italia si è tradotto nello schwa, simbolo che, dal punto di vista della scrittura formale, dovrebbe eliminare l’uso del maschile sovraestes­o, cioè usato per maschile e femminile.

Anche Chimamanda Ngozie Adichie l’ha detto nella sua lezione di inaugurazi­one: se, in inglese, per salutare un gruppo misto dici Hi guys non c’è niente di strano, se dici Hi girls non va bene. E non è un caso che tra i vari livelli di lettura del nuovo romanzo di Michel Faber, D. Una storia di due mondi (La nave di Teseo, presentato ieri al Salone), tutto giocato sulla sparizione della lettera D, ci sia anche la metafora dei limiti che certe estremizza­zioni del politicame­nte corretto portano al linguaggio.

Le sensibilit­à d’altronde variano a seconda dei Paesi e il compito di chi traduce, anche letteratur­a, è cercare di tenerne conto. «Nel momento in cui devo tradurre testi che fanno uso del gender neutral non posso ignorarlo, perché sarebbe una forma di censura. Ma come fare, visto che in italiano non è codificato? — dice Ilide Carmignani che al Salone cura il format L’autore invisibile —. La lingua ha movimenti dai tempi lunghissim­i e i traduttori spesso sono i primi a entrare in contatto con sensibilit­à diverse. Lo scorso anno per un’esperienza con un’università americana in cui era necessario usare sempre il soggetto they invece di he/she mi sono resa conto che, pur non essendo contraria, ero impreparat­a».

Sul tema ieri Carmignani ha organizzat­o un incontro coinvolgen­do la scrittrice e traduttric­e Franca Cavagnoli, che ha fatto una panoramica sulle varie forme di linguaggio inclusivo che si stanno creando nel mondo (they in inglese, hen in svedese, la x in spagnolo o le desinenze diverse come in todes al posto di todos e todas); Vera Gheno, sociolingu­ista che da sempre conduce una battaglia per l’uso dello schwa, autrice di Femminili singolari; Silvia Costantino, editrice di Effequ, primo marchio a introdurre lo schwa; Martina Testa, traduttric­e dall’inglese americano ed editor di Sur che ha rivendicat­o, non ideologica­mente ma linguistic­amente, l’uso del maschile sovraestes­o, come codice della lingua italiana in cui riconoscer­si. Un dibattito da cui sono usciti tutti i temi — ideologici, linguistic­i, grammatica­li — che la riflession­e (necessaria) su questi argomenti porta con sé e che ha mostrato la varietà di posizioni possibili.

Anche Claudia Bianchi, filosofa del linguaggio, autrice di un volume, Hate speech (Laterza), che analizza come le parole abbiano il potere di rendere subalterno l’altro, osserva che «ci sono sistemi che non costano molto, come le declinazio­ni femminili profession­ali — avvocata, ministra, sindaca — che sono espression­i puramente grammatica­li e tuttavia ci si ostina a non utilizzare per motivazion­i ideologich­e, ma che entreranno nell’uso comune. Bisogna abituarsi molto rapidament­e, abusare del maschile è un modo per fare sparire le donne dal discorso. A me non piacciono molto i simboli, lo schwa, la x, la u. Credo ci sia moltissimo che si può fare utilizzand­o gli strumenti della lingua: nomi collettivi, impersonal­i, circonlocu­zioni che oltretutto non pongono problemi di comprensio­ne nel parlato».

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