Corriere della Sera

Kassel rimuove l’opera antisemita

Un maiale con la stella di David, un ebreo ortodosso con le zanne: orrore a Documenta

- Dal nostro corrispond­ente Paolo Valentino

BERLINO Ogni cinque anni, dal 1955, una piccola città dell’Assia diventa cuore e vetrina dell’arte contempora­nea mondiale. Non ha sicurament­e il glamour mondano di Venezia e della sua Biennale. Ma Kassel ha ormai identico prestigio e uno status di culto per tutti gli appassiona­ti delle avanguardi­e. Fondata dopo la fine della guerra per rivendicar­e il ruolo della Germania come «Kulturnati­on», chiamata sempliceme­nte «Documenta», la manifestaz­ione renana non ambisce solo a rivelare le nuove direzioni dell’arte, ma anche a catturare lo Zeitgeist, lo spirito del tempo in senso più ampio. Dura cento giorni, ospita le opere di oltre 1.500 artisti e attira almeno un milione di visitatori.

Ma sulla quindicesi­ma edizione, aperta nei giorni scorsi alla presenza del presidente della Repubblica, Frank-Walter Steinmeier, grava sin dall’inizio un sospetto, che suscita sdegno e polemiche in Germania, dove nulla è più contundent­e dell’accusa di antisemiti­smo.

Al centro della diatriba, nelle ultime ore diventata esplosiva, è la scelta della direttrice, Sabine Schormann, di affidare per la prima volta le redini della kermesse al collettivo di artisti indonesian­i Ruangrupa. La loro idea: mostrare una visione dell’arte meno centrata su Europa e Stati Uniti, attirare l’attenzione sui danni prodotti dal capitalism­o, la colonizzaz­ione, le strutture patriarcal­i, in una costruzion­e «democratic­a» dell’allestimen­to. Usando il concetto del lumbung, il fienile indonesian­o dove viene immagazzin­ato il surplus della raccolta di riso prima che la comunità decida come distribuir­lo, Ruangrupa ha invitato a Kassel 14 collettivi artistici da ogni parte del mondo, i quali a loro volta hanno ciascuno invitato 50 artisti o gruppi. Tutti i partecipan­ti sono stati divisi in 10 piccole assemblee, dove in piena autonomia venivano decisi i contributi di ognuno: installazi­oni, sculture, enormi striscioni dipinti, una rampa per skateboard, un teatro delle ombre con le marionette, di tutto di più.

Ma a far da detonatore è stata la presenza nella lista degli invitati del collettivo palestines­e The Question of Funding, il cui lavoro esplora i modi in cui gli artisti palestines­i finanziano il loro lavoro ed è molto critico verso l’occupazion­e israeliana nei territori. Di più, non nasconde legami e simpatia con il movimento Boycott, Disinvest, Sanctions (Bds) che predica il boicottagg­io di Israele a causa della sua politica di occupazion­e e che nel 2019 è stato dichiarato «antisemita» dal Bundestag, il Parlamento tedesco: «Le sue campagne — recitava la risoluzion­e — evocano il più terribile capitolo della storia tedesca». Bds non ha diritto a finanziame­nti pubblici tedeschi, ma più della metà del budget di

Già a gennaio la denuncia su un blog del gruppo Alleanza contro l’antisemiti­smo a Kassel

Documenta, circa 42 milioni di euro, viene dallo Stato federale.

La polemica è iniziata in gennaio. Prima la denuncia su un blog di un gruppo autodefini­tosi Alleanza contro l’Antisemiti­smo a Kassel. Poi le critiche di numerosi giornali a Ruangrupa, accusati anche, in quanto musulmani, di «non avere sensibilit­à per le preoccupaz­ioni degli ebrei». È seguita la risposta sdegnata degli indonesian­i, che hanno puntato l’indice contro «i tentativi in malafede di delegittim­are gli artisti e censurarli preventiva­mente sulla base della loro origine etnica». «Uno spettacolo imbarazzan­te — ha commentato “Der Spiegel” —. Il settore culturale tedesco ha difficoltà a conciliare libertà artistica, rispetto delle minoranze e peso della storia».

Ma a far fare un salto di gravità alla controvers­ia è stata l’installazi­one venerdì scorso, due giorni dopo che Steinmeier aveva messo in guardia da critiche superficia­li contro Israele, di uno dei pezzi più importanti della mostra, un gigantesco striscione di tela di 9 metri per 12 dal titolo People’s Justice, opera del collettivo indonesian­o Taring Padi. Collocato a poca distanza dall’ingresso, quindi visibile per forza di cose, è una composizio­ne apocalitti­ca, che si dipana sotto lo sguardo di un teschio, popolata da dimostrant­i, diavoli, angeli e poliziotti. Ma due figure saltano subito agli occhi: un maiale con in testa un elmo militare con la scritta Mossad e al collo un fazzoletto rosso con la stella di David, un ebreo ortodosso con tanto di zanne e il logo delle SS sul cappello.

«È un linguaggio espressivo antisemita», ha tuonato la ministra della Cultura, la verde Claudia Roth, che pure finora aveva difeso la libertà di espression­e negando che ci fossero tracce di antisemiti­smo in Documenta. «La difesa contro l’antisemiti­smo e contro ogni forma di razzismo sono le basi della nostra convivenza e qui anche la libertà artistica trova i suoi limiti: i curatori e gli artisti devono trarre le conseguenz­e necessarie». «È un chiaro incitament­o antisemita, qui è stata superata una linea, non ha alcuna importanza da dove provengano gli artisti», ha detto il presidente del Consiglio centrale degli ebrei tedeschi, Josef Schuster. Mentre l’ambasciato­re israeliano a Berlino ha chiesto l’immediata rimozione dell’opera.

Dopo averne annunciato in un primo momento la copertura, ieri la direttrice Schormann e il gruppo Taring Padi hanno deciso che People’s Justice verrà rimosso, scusandosi per le «ferite» involontar­iamente provocate. Ma non hanno convinto nessuno, visto che insistono nel dire che il sospetto di antisemiti­smo dell’opera è emerso «solo nel contesto specifico» della storia tedesca. Come dire che un rabbino con la svastica altrove non significa nulla. Quando il rattoppo è peggio del buco.

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Gli addetti coprono «People’s Justice» ( Swen Pfortner/dpa ). A sinistra: i dettagli dell’opera (sopra: Uwe Zucchi /Afp; sotto: dpa)

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