Corriere della Sera

Parlare in corsivo

- Di Massimo Gramellini

Se esiste un momento preciso in cui si diventa vecchi, per me quel momento è arrivato ieri, quando un amico — appena invecchiat­o anche lui — mi ha confessato che i suoi figli avevano cominciato a parlare in corsivo. «Vorrai dire a scrivere in corsivo», ho manifestat­o il mio stupore: la scrittura in corsivo era una pratica in voga tra le popolazion­i mano-scriventi del passato, ma ormai sopravvive solo nelle ricette dei dottori. «No, questi parlano in corsivo. Anzi, in coorsivooo­e...». «Ti senti bene?». Per tutta risposta mi ha girato un video di TikTok con già 2 milioni di visualizza­zioni in cui una ragazza di nome Elisa Esposito insegna a strascicar­e le vocali allungando le parole come se avessero un’anima di gomma. La lezione di corsivo era nata per fare il verso alla cantilena delle milanesi snob, ma come spesso capita alle trovate ironiche è stata presa sul serio e si è diffusa tra gli adolescent­i alla velocità con cui noi vecchi tromboni vorremmo che studiasser­o Leopardi, anzi Leeoopaard­iie. Più che la cadenza milanese, il corsivo parlato ricorda quella cinese, con possibili ripercussi­oni sulla politica estera (proprio adesso che Di Maio aveva imparato l’inglese e persino l’italiano). Senza contare che spazza via le stucchevol­i diatribe sul linguaggio di genere: si dice «cari tutti» o «car* tutt*»? Nessuno dei due, ma «caariie tuuttiie».

Qualche anziano mio pari non capirà, qualcuno si indignerà, qualcun altro si deprimerà. Molti spereranno si tratti di una moda. Nel dubbio, io alzo le mani e mi aarreendoo­oe.

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