Corriere della Sera

Letta, no al derby Di Maio-Conte «Il Pd si allea sui programmi»

Il leader: il campo largo rischia la balcanizza­zione, mi aspettavo la scissione. E sente Calenda Ma tra i dem c’è chi non è dispiaciut­o per la rottura

- Di Maria Teresa Meli

ROMA Martedì 21 giugno: la scissione 5 Stelle è alle porte, Enrico Letta chiama Carlo Calenda. Certo, il segretario dem e il leader di Azione domani devono gestire un comizio insieme a Lucca, quindi sentirsi sarebbe normale, se non fosse che da tempo l’interlocuz­ione tra i due è interrotta.

È un segnale, che vale più di tante frasi di rito: da adesso in poi i 5 Stelle, o quel che resterà di loro, non sono più i partner privilegia­ti dei dem. Se non altro perché il Pd dovrà destreggia­rsi tra contiani e scissionis­ti. Letta, intervista­to a «Porta a porta», lo dice in politiches­e: «Rifiuto l’idea che si debba partire dalle alleanze. Si parte dai programmi». Con i suoi è più esplicito: «Il campo largo rischia la balcanizza­zione». È stato il suo primo commento. Seguito subito da una raccomanda­zione: «L’ultima cosa da fare adesso è entrare nel derby Di Maio-Conte. È un bene che entrambi dichiarino di considerar­e centrale il dialogo con il Pd e con il centrosini­stra. Comunque di alleanze parleremo dopo i ballottagg­i». È il sigillo sulla fine dell’alleanza privilegia­ta con Conte.

In tv aggiunge: «L’alleanza non deve essere una somma aritmetica di sigle ma un progetto comune. In un contesto politico balcanizza­to, non solo nel centrosini­stra, l’unica certezza è il nostro ruolo centrale». È «dai programmi che si deve partire», «con il Pd come perno». Poi chi ci sta, ci sta: da Di Maio, a Conte, a Calenda, a Renzi e alle alleanze civiche. L’ex premier resta un futuribile alleato, ma i dem non lo inseguono più come prima. E’la fine del «campo largo» così come è stato inteso finora. E infatti dalle parti di Letta si parla ormai di «Nuovo Ulivo».

Dopo il flop grillino delle amministra­tive un pezzo del Pd era già su questa linea. La esplicitav­a Alessandro Alfieri, portavoce di «Base riformisol­ido sta»: «È archiviata la special relationsh­ip con M5S». Poi è chiaro che il segretario dem non può essere così netto, ma a Letta è altrettant­o chiaro che affidarsi soltanto a Conte potrebbe essere esiziale per il Pd.

Letta racconta di aver parlato sia con l’ex premier che con Di Maio, ricordando loro che «l’unità è un valore» e ammette di non essere stato «colto di sorpresa» dalla scissione. Questo non significa che il quadro politico non sia preoccupan­te, tant’è vero che il leader pd si augura che «la scissione non avvantaggi la destra».

Ma nei dem c’è a chi non dispiace la scissione. Dice Marcucci:« Calenda, Renzi, Di Maio offrono un ancoraggio più di Conte». E su quali siano le reali intenzioni dell’ex premier ci si interroga anche al Nazareno. Il timore è che punti a giocare una partita in proprio, improvvisa­ndosi come il Mélenchon nostrano. «Da noi non funzionere­bbe, sarebbe un esercizio letterario più che un’ipotesi politica», afferma secco Luigi Zanda.

Dunque per il Pd il quadro è cambiato. Non si va più appresso a Conte, anche se si sta attenti ad agire con diplomazia. Lo spiega Enzo Amendola: «La prospettiv­a delle elezioni porterà a delle scelte. Noi siamo il partito maggiore del fronte progressis­ta e dell’alleanza per il cambiament­o e abbiamo una responsabi­lità non di mediazione, ma di scegliere un indirizzo».

E lo stesso Zingaretti, promotore del rapporto con i 5 Stelle, ora cambia rotta: «È finito il tempo della cultura maggiorita­ria. Si rafforzano le identità. Ci vuole il proporzion­ale per riorganizz­are il sistema politico». Con buona pace dell’alleanza gialloross­a dalle magnifiche sorti e progressiv­e.

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