Corriere della Sera

«Per me la disobbedie­nza è l’unica regola dell’arte»

La capacità di dissentire, il no al «politicall­y correct» Il ruolo dell’artista nelle parole di un moderno eretico

- di Maurizio Cattelan e Anish Kapoor

Ciao Anish. So che cominci a lavorare alle 9.30 tutte le mattine. È vero? Ma cosa fai quando ti svegli? «Mi sveglio alle 6.30. Dopo colazione faccio un po’ di meditazion­e. Inizio a lavorare alle 9.30 e continuo fino alle 18 — una normale giornata di lavoro». Come passi il tempo libero? «Leggendo, guardando la tv, camminando, giocando con mio figlio».

L’ultima mostra (non tua, possibilme­nte) che hai visto?

«Kiefer a Palazzo Ducale a Venezia». Pensavo fossi uno scultore, invece dipingi...

(Maurizio ride)

«Vado dove mi porta l’opera. Negli ultimi 40 anni ho fatto dipinti e, in qualche modo, hanno richiamato maggiore attenzione».

Hai un maestro, a parte Giorgione, Tiziano, Antonello da Messina?

«Tutti quelli che hai detto e tanti, tanti altri: Barnet Newman; Picasso; Walter Benjamin; Julia Kristeva; Paul Celan; il mio caro amico Homi Bhabha, e così via».

Che cos’è per te il processo creativo?

«Ho una pratica. Costante e continua, il lavoro emerge dalla pratica. Non credo nelle buone idee. Tutte le idee sono buone, cerco di attenermi al principio “prima idea, migliore idea”. Il mio mestiere è scoprire quello che è nascosto o è semisconos­ciuto dentro di me. Il non riconosciu­to-saputo. Faccio almeno un lavoro al giorno».

Com’è organizzat­a la struttura operativa del tuo studio? Quante persone lavorano con te alle tue opere?

«Nello studio ho 23 persone — una decina lavora in studio e il resto è in amministra­zione. Io lavoro da solo in uno spazio separato. La scultura è un processo lungo».

Lavori più con le visioni o con i materiali? Da dove parte e come prende vita un tuo progetto?

«Alchimia, visione e materiali. Una volta ho chiesto a un fisico quantico quale fosse la differenza a livello quantico tra la pittura in una metropolit­ana e la pittura su una grande opera d’arte. Non ha saputo risponderm­i, ma io so che la pittura su una grande opera d’arte possiede materia psichica ed è diversa dalla pittura in una metropolit­ana. In altri termini, è stata sottoposta a una trasformaz­ione alchemica. Il mix di psiche e materia è quella meraviglia che noi umani possiamo fare e che abbiamo dimenticat­o che possiamo fare».

L’acquisto di Palazzo Manfrin ha a che fare con un bisogno personale di garantire un futuro ai tuoi lavori? Temevi di essere dimenticat­o? Perché hai scelto Venezia?

«Non mi importa di cosa succederà dopo la mia morte. Ho comprato Manfrin per il gusto di farlo, una sciocchezz­a, ma io amo Venezia».

È vero che la tua mostra veneziana è tutta orientata a rappresent­are l’opposizion­e, quella tra luce e buio, presenza e assenza, idea e realtà? Pensi di esserci riuscito?

«Nessuna mostra valida si concentra su un’unica cosa, non ho niente da dire. Non ho messaggi da inviare come artista. L’arte con i messaggi è svilita dal suo bisogno di dire qualcosa. La grande arte porta significat­o interagend­o con lo spettatore. Ritengo che negli anni sia emersa la perdurante realtà di un universo di opposti — giorno e notte, maschile e femminile, buono e cattivo, pieno e vuoto. Mi dici tu, caro Maurizio, se ci sono riuscito?».

Che cos’è davvero il tuo nero assoluto? «Questo materiale deriva dalla nanotecnol­ogia. È il materiale più nero dell’universo, più nero di un buco nero. È una sostanza che viene messa su una superficie e poi inserita in un reattore. Questo processo fa sì che le particelle si rizzino come le fibre sul velluto. Per dare un senso delle proporzion­i: se una particella è larga un metro, è alta 300 metri, e questo fa sì che la luce venga intrappola­ta tra le particelle, senza

Ho una pratica, costante e continua: il lavoro emerge dalla pratica Faccio almeno un lavoro al giorno. Nel mio studio ci sono ventitré persone

Purtroppo, abbiamo pazzi ignoranti che si definiscon­o curatori e a quanto pare dirigono i nostri musei. I musei sono in confusione

Non siamo produttori di beni di lusso. Il nostro ruolo è essere radicali in un mondo che ha dimenticat­o che cosa può essere il radicale

alcuna possibilit­à di fuoriuscir­e. Questo nanomateri­ale assorbe il 99,8% di tutta la luce. Nel Rinascimen­to ci furono due grandi scoperte. Una, ovviamente, è la prospettiv­a, che pone l’individuo al centro, e l’altra è la piega. La piega è l’essenza dell’essere — il corpo avvolto nell’abito o la piega. Se questo materiale nero viene posto su una piega, la piega scompare. Non si vede più. Quindi, penso che questo mio progetto porti l’oggetto Oltre l’Essere... Ovviamente mi riferisco al Quadrato nero di Malevich e alla sua affermazio­ne che è una proposizio­ne quadridime­nsionale. L’arte deve fare realtà mitologica. Nella confusione tra occhio, cuore e mente c’è tanto mistero».

Per te il senso del tuo lavoro è legato allo sguardo di chi osserva? Te lo chiedo perché anni fa un visitatore è precipitat­o all’interno della tua opera «Descent into Limbo» realizzata con il Vantablack. Siete diventati amici?

«Lo sguardo dell’osservator­e è essenziale. Non faccio arte per lo spettatore, ma sono consapevol­e del modo in cui lo spettatore completa il ciclo dell’opera d’arte. Non possiamo guardare senza identifica­rci, perché guardiamo con amore, odio, desiderio, disgusto, ammirazion­e, etc. È impossibil­e fare diversamen­te. Visto che l’arte è mitologica e non riguarda l’oggetto in sé, essa gioca con queste cose dentro di noi. Descent into Limbo è un buco profondo nel terreno, fatto in modo da sembrare un oggetto sul pavimento. È uno spazio talmente pieno di oscurità da non essere più vuoto. È uno spazio pieno di oscurità. Quel tipo non credeva a ciò che vedeva davanti a sé. Nonostante gli fosse stato detto che era pericoloso. Ci è saltato dentro... No, non siamo amici, ma sarei felice di incontrarl­o. Kant dice che il sublime è pieno di rischi. La perdita di sé è la nostra paura più grande. Stai sul ciglio e salta... volare o morire». Perché sei ossessiona­to dal non-oggetto? «In un mondo pieno di oggetti, è l’opposto di un oggetto. Lo spazio interno è più grande di quello che lo contiene. Chiudi gli occhi e chiedi se lo spazio che occupi è uguale al limite fisico del tuo corpo. I nostri sé immaginari sono fatti di oggetti invisibili e ho scoperto che il mondo oggettivo reale è anche fatto del semi-reale o dell’irreale-reale, il Non-Oggetto».

Come si diventa un artista? Tu come hai fatto?

«Essendo un pazzo, profondame­nte anti-autoritari­o e non essendo disposto a stare al gioco. Ho scritto sulle pareti del mio studio: dissenti - disobbedis­ci - disconosci. La società è padrona, non essere uno schiavo, dissenti, sii un artista e di’ al mondo di prenderlo in quel posto».

Quanto conta la tecnica rispetto all’idea?

«Non è importante. Ma anche le idee non sono importanti. L’arte vive in uno spazio tra idea e nessuna idea. In un universo pieno di oggetti, oggetti nominabili e comprensib­ili, l’Arte raramente può proporre qualcosa di inconoscib­ile o di innominabi­le. Questo vale una vita di lavoro».

Chi decide oggi che cos’è arte? C’è una differenza rispetto al passato?

«Ci troviamo in una profonda crisi culturale. Tutti i territori formali sono stati oltrepassa­ti. Tutto è permesso. Questo provoca confusione. Purtroppo, abbiamo pazzi ignoranti che si definiscon­o curatori e a quanto pare dirigono i nostri musei. I musei sono in confusione, hanno perduto i mezzi con cui esprimere giudizi estetici e poetici e quindi loro vanno in giro per il mondo a raccoglier­e arte qua e là, una forma di esotismo. Guidati dal politicall­y correct e da programmi estremamen­te banali. Tutto questo, preservand­o la gerarchia del maschio bianco per quanto attiene agli eventi storici. Che stupidaggi­ne. Noi artisti dobbiamo rifiutarci di essere parte di questo neo-colonialis­mo culturale ignorante».

Quanto la tua ricerca è condiziona­ta dalle esigenze del mercato o quanto è un atto totalmente inconsapev­ole, inconscio, libero?

«Il mercato è il nemico degli artisti. Lavorare per il mercato significa la morte dell’artista e dell’arte, eppure il denaro è una delle proprietà mitologich­e dell’arte».

Nella Casa di Asterione Borges spiega che il terribile Minotauro non è (solo) un mostro, ma una vittima, in realtà, di Teseo. L’arte per te dovrebbe fare questo? Capovolger­e il senso comune?

«Sì. Il grande visionario psichico, Sigmund Freud, ci ha indotti a ri-conoscere quello che gli antichi sapevano, che tutti i mostri sono vittime, che il linguaggio psichico è, al contempo, il linguaggio di fatti e controfatt­i».

Secondo te oggi l’arte è in crisi? Se lo è, perché? O pensi che l’arte sia ancora capace di produrre davvero qualcosa di nuovo?

«Come ho detto, la cultura è in crisi profonda. Siamo diventati schiavi del capitalism­o. Dobbiamo tenere sempre ben presente che noi artisti non siamo produttori di beni di lusso. Il nostro ruolo è essere RADICALI in un mondo che ha dimenticat­o cosa può essere il radicale. Come è possibile che il radicale sia in vendita? Una volta consumata, l’arte non può più essere radicale. Ci è stata tolta tutta l’oscurità. Asserviamo i nostri figli al capitalism­o privandoli della loro creatività e individual­ità. La disobbedie­nza è l’unico modo. Finché non ci rifiutiamo di seguire le regole, restiamo intrappola­ti nel conformism­o. Lo spirito umano è meraviglio­so e pieno di inventiva, ma nel XXI secolo è ormai schiavo. ARTISTI, LIBERATEVI».

Quali sono gli artisti viventi che invidi? «Quelli che dicono al mondo di andare all’inferno. Quelli che non staranno al gioco».

Maurizio Cattelan, Anish Kapoor ©Marsilio Arte

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(foto di George Darrell) Dialogo Da sinistra, Maurizio Cattelan (foto di Pierpaolo Ferrari)
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E Anish Kapoor

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