La fabbrica degli ori
A Budapest è iniziato il ricambio con Ceccon Martinenghi e Pilato Lamberti: «Il talento c’è, ora fiducia e pazienza»
BUDAPEST Benedetta Pilato, Taranto, 17 anni, medaglie, record e una crisi di crescita già alle spalle (che no, non è la gara sbagliata a Tokyo). Thomas Ceccon, Schio, 21, talento cristallino custodito, aspettato, protetto, esploso. Nicolò Martinenghi, Varese, 22, un’evoluzione fisica e mentale che ha portato in acqua a un mix di sensibilità e forza, e fuori a una capacità comunicativa coinvolgente.
Sono tutto meno che sorprese, i ragazzi d’oro del nuoto. Che a Budapest cavalcano l’onda travolgente della nuova generazione (il romeno Popovici a 17 anni re dei 100 e dei 200 stile, il francese Marchand, 20, oro nei 200 e nei 400 misti, argento nei 200 farfalla, la canadese McIntosh, 15 anni e 308 giorni, reginetta dei 200 misti in 2’05”20).
Ci siamo anche noi tra i precoci. C’è una linea verdissima che lega questi tre e che Giorgio Lamberti, l’unico recordman del mondo maschile italiano prima di Ceccon, forgiato nella stessa piscina a Verona, riassume in due parole: «Fiducia e pazienza». Prendiamo proprio Ceccon. Che fosse una spanna sopra tutti, lo si era capito già nelle categorie giovanili: «Quando l’ho visto la prima volta sono rimasto choccato, una facilità del gesto fuori dall’ordinario, dà l’impressione di poter fare di tutto in acqua, se lo mettessero legato come Houdini saprebbe liberarsi» lo descrive Luca Sacchi bronzo olimpico e commentatore Rai. Però tante volte non basta: «Sa in 47 anni di nuoto quanti ne ho visti perdersi? — continua Lamberti — lui ha avuto le sue difficoltà, ma non è mai venuta meno la fiducia con il suo tecnico, Alberto Burlina. Nell’89 io ho fatto il record del mondo: ero reduce da una cocente delusione olimpica, per la critica ero uno psicolabile e il mio allenatore un incapace. L’allenatore era Alberto
Castagnetti. Ci vuole tempo e pazienza, ci vuole fiducia. L’oro e il record di Thomas vengono da lontano». Burlina ne ha assecondato le inclinazioni alla polivalenza, è stato comprensivo verso certi atteggiamenti a volte indolenti, a volte strafottenti, trovando sempre una chiave d’accesso: vuoi fare sei gare?
Ok, ma almeno due devi farmele al 100%.
La fiducia è tutto anche per Benny: oggi qui a Budapest arriva (come spettatore) il suo allenatore Vito D’Onghia, che di primo mestiere lavora all’Asl: sono cresciuti assieme, sanno che Benny si sposterà per l’Università ma che resteranno legati per sempre. Perché
hanno già tanto alle spalle: a 14 anni con l’argento mondiale al collo Benny ha stupito per spigliatezza e maturità, poi ha bruciato le tappe, il record del mondo nei 50 rana e «tutto veniva facile», fino a quando qualcosa si è inceppato. La gara sbagliata a Tokyo, ok, ma soprattutto le prime difficoltà a gestire la crescita, il cambiamento del proprio corpo, i primi guai fisici. «Perciò il suo successo qui vuol dire molto — insiste Sacchi — vuol dire che ha saputo individuare i problemi e cambiare per trovare un nuovo equilibrio. Non è scontato, a volte gli atleti si incaponiscono. Ricordiamoci che la sua gara sono i 50 metri, i 100 sono una forzatura che sta diventando naturale».
E poi c’è Tete, guascone e capace di emozionarsi, quello che è uscito dal corpo militare «perché il mio futuro preferisco costruirmelo da solo», che ha iniziato a 13 anni a curare anche la mente («da giovane è più allenabile») che è passato di colpo da un corpo esile al ragazzo massiccio che è, che pensa a lavorare nella moda e che oggi nuota una splendida rana: «Un grandissimo animale acquatico, sensibile ma con una forza devastante, lo si vede allo stacco dal blocco. Una frequenza di bracciata altissima, è la differenza tra lui e la generazione precedente di Scozzoli». Talenti naturali, certo, però nulla accade per caso. «Sì il nuoto è un mondo che funziona», e se lo dice Lamberti possiamo credergli.