POPULISTI NEL LIMBO ASPETTANDO SETTEMBRE
L’ipotesi che le convulsioni postelettorali possano provocare una crisi del governo di Mario Draghi si sta rivelando poco verosimile. Il pericolo sembra rientrato: almeno per l’estate. Rimangono il malessere e il limbo politico di Movimento Cinque Stelle e Lega, che continuano a far capire di rimanere nell’esecutivo solo perché non possono fare altrimenti. Anche se continuano a ripetere di essere tentati di uscire, convinti così di fermare un calo di consensi che in realtà ha radici più profonde.
Scaricare la colpa dei propri guai su Palazzo Chigi è un alibi autoconsolatorio. Soprattutto, permette a Giuseppe Conte, leader grillino, e a Matteo Salvini, capo della Lega, di tenere un piede nella maggioranza e l’altro sull’uscio dell’opposizione. Se a settembre dovessero lievitare le tensioni sociali, e l’impatto della legge finanziaria si rivelasse particolarmente doloroso, le polemiche di questi giorni diventerebbero un ottimo pretesto per smarcarsi. Farlo adesso sarebbe un suicidio: anche perché il capo dello Stato, Sergio Mattarella, scioglierebbe le Camere e manderebbe l’Italia alle urne.
Non sarebbe facile spiegare uno strappo e un voto anticipato mentre ci sono una guerra della Russia contro l’Ucraina, e una situazione economica in bilico. Probabilmente, solo i più irriducibili continuano a pensare il contrario. In realtà, dietro il gelo tra Conte e Draghi si intravede anche la lotta intestina nei Cinque Stelle, con un Beppe Grillo che sembra giocare molte parti insieme, alimentando la confusione.
Il colloquio in programma lunedì tra premier e Conte si preannuncia teso ma scontato. La mediazione del Quirinale ha fatto capire all’ex premier grillino quanto sia rischioso tirare troppo la corda. E, sebbene Conte si mostri amletico sulla fiducia verso Draghi, difficilmente potrà rompere: a dispetto delle pressioni di chi, nella sua cerchia, lo vorrebbe consegnare a un’opposizione estremista. Di certo, le ultime tensioni hanno dato un colpo quasi definitivo all’idea di un «campo largo» tra M5S e Pd. Dopo la picconata degli elettori c’è stata quella degli attacchi al capo del governo, che hanno costretto il segretario Enrico Letta all’altolà all’alleato.
Ma anche in alcune reazioni leghiste a iniziative legislative controverse del Pd si indovina la voglia di marcare il territorio; e di oscurare il brutto risultato ai ballottaggi di sei giorni fa. Sono tutti messaggi al proprio elettorato: una sorta di arsenale polemico e di pretesti da utilizzare a ridosso delle Politiche o un po’ prima, per avere le mani libere. Se la situazione non precipita a causa dell’aggressione russa, l’eventuale resa dei conti è rimandata dunque a settembre. Ma nessuno si illude che il populismo in ritirata nelle urne lascerà in pace il governo.