Corriere della Sera

Un’ora di faccia a faccia e le ricuciture di Franceschi­ni Ma tra Enrico e Giuseppe c’è il gelo nell’ex convento

Letta: senza accordo sui contenuti il campo largo non c’è

- dal nostro inviato Claudio Bozza

CORTONA (AREZZO) È appena nato, ma già necessita di profondi rammendi. Il sarto, che come al solito lavora in silenzio, si chiama Dario Franceschi­ni. Il ministro dei Beni culturali, quando quasi tutti nel Pd storcevano il naso, fu infatti il primo ad affermare che l’alleanza con il M5S era l’unica strada per tornare a vincere. E ieri a Cortona il leader di Areadem, la corrente dem più longeva, ha rimesso attorno a un tavolo il segretario Enrico Letta, la sinistra con il ministro Roberto Speranza e l’irrequieto Giuseppe Conte.

Prima di salire sul palco, il «sarto» Franceschi­ni organizza un confronto di un’ora in albergo a due passi dall’ex convento di Sant’Agostino. I toni sono schietti. Conte nega ancora di voler mollare il governo, poi però rilancia e spiega che valuterà con i suoi organi politici l’eventuale appoggio esterno. Letta, pur convinto che «questa crisi di cartone» sia alle spalle, rimette profondi paletti sul sentiero dell’alleato: «Se ci fossero cambiament­i si va a elezioni», avverte. Speranza media, Franceschi­ni ancora di più, sempre con ago e filo. «Senza accordo sui contenuti il campo largo non c’è. E sia ben chiaro: dopo questo governo non ce ne saranno altri», dice Letta. E poi: «Che tipo di Italia vogliamo? Quale lavoro? La sostenibil­ità? Senza queste intese non ci sono campi larghi». Gli ribatte il capo del Movimento: «Campo largo? Io credo a un campo progressis­ta. Bisogna costituire un cartello che punti a vincere le elezioni, con un progetto politico che preveda una articolazi­one di impegni per migliorare la qualità della vita dei cittadini. La coesione è più importante della larghezza».

C’è aria di ritorno al dialogo, ma la freddezza rimane. Lo si capisce quando la moderatric­e del confronto, Lucia Annunziata, chiede una nuova «foto di Vasto» e i tre alleati non si tuffano certo davanti agli obiettivi.

Franceschi­ni, in prima fila, osserva e tace. È però fiducioso: «L’incontro di stasera — è l’unica sua osservazio­ne — segna l’inizio di un percorso che dovrà durare anni e garantire al Paese una guida riformista». È il segno che, nel solco del solido asse con Letta, il Pd ha deciso di provare a salvare questo litigioso matrimonio. Lo si capisce anche dalle parole che arrivano a ruota dal segretario, dopo aver citato più volte lo scomparso presidente del Parlamento Ue, David Sassoli: «Sarebbe

Il progetto politico Il campo progressis­ta? La coesione viene prima della larghezza Giuseppe Conte

I paletti La crisi di cartone è alle spalle, ma se ci saranno cambiament­i si va al voto

Enrico Letta

paradossal­e se facessimo saltare tutto subito dopo aver vinto le elezioni amministra­tive, oltretutto giocando in trasferta perché non eravamo i favoriti. Però abbiamo dimostrato che sul terreno e non nei sondaggi, come centrosini­stra, siamo in grado di ribaltare il risultato».

A ruota, a tendere la mano a Conte, arriva anche Speranza, che, numeri alla mano, ricorda «come il Movimento, alle Politiche del 2018, abbia avuto il pregio di riuscire a convincere determinat­e aree della sinistra e a conquistar­ne i consensi». Ma per questo matrimonio a tre, a breve, potrebbe già arrivare una nuova bufera, quando l’esecutivo presenterà il quarto decreto per finanziare l’invio di nuove armi all’Ucraina. Mentre Letta afferma: «Abbiamo il dovere di vincere le prossime elezioni». Spunta pure un «noi» quindi, ma non è quello di Conte.

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(fotogramma) Insieme Giuseppe Conte, 57 anni, leader del M5S ed Enrico Letta, 55 , segretario del Pd all’evento della Cgil «Il lavoro interroga»

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