Un’ora di faccia a faccia e le ricuciture di Franceschini Ma tra Enrico e Giuseppe c’è il gelo nell’ex convento
Letta: senza accordo sui contenuti il campo largo non c’è
CORTONA (AREZZO) È appena nato, ma già necessita di profondi rammendi. Il sarto, che come al solito lavora in silenzio, si chiama Dario Franceschini. Il ministro dei Beni culturali, quando quasi tutti nel Pd storcevano il naso, fu infatti il primo ad affermare che l’alleanza con il M5S era l’unica strada per tornare a vincere. E ieri a Cortona il leader di Areadem, la corrente dem più longeva, ha rimesso attorno a un tavolo il segretario Enrico Letta, la sinistra con il ministro Roberto Speranza e l’irrequieto Giuseppe Conte.
Prima di salire sul palco, il «sarto» Franceschini organizza un confronto di un’ora in albergo a due passi dall’ex convento di Sant’Agostino. I toni sono schietti. Conte nega ancora di voler mollare il governo, poi però rilancia e spiega che valuterà con i suoi organi politici l’eventuale appoggio esterno. Letta, pur convinto che «questa crisi di cartone» sia alle spalle, rimette profondi paletti sul sentiero dell’alleato: «Se ci fossero cambiamenti si va a elezioni», avverte. Speranza media, Franceschini ancora di più, sempre con ago e filo. «Senza accordo sui contenuti il campo largo non c’è. E sia ben chiaro: dopo questo governo non ce ne saranno altri», dice Letta. E poi: «Che tipo di Italia vogliamo? Quale lavoro? La sostenibilità? Senza queste intese non ci sono campi larghi». Gli ribatte il capo del Movimento: «Campo largo? Io credo a un campo progressista. Bisogna costituire un cartello che punti a vincere le elezioni, con un progetto politico che preveda una articolazione di impegni per migliorare la qualità della vita dei cittadini. La coesione è più importante della larghezza».
C’è aria di ritorno al dialogo, ma la freddezza rimane. Lo si capisce quando la moderatrice del confronto, Lucia Annunziata, chiede una nuova «foto di Vasto» e i tre alleati non si tuffano certo davanti agli obiettivi.
Franceschini, in prima fila, osserva e tace. È però fiducioso: «L’incontro di stasera — è l’unica sua osservazione — segna l’inizio di un percorso che dovrà durare anni e garantire al Paese una guida riformista». È il segno che, nel solco del solido asse con Letta, il Pd ha deciso di provare a salvare questo litigioso matrimonio. Lo si capisce anche dalle parole che arrivano a ruota dal segretario, dopo aver citato più volte lo scomparso presidente del Parlamento Ue, David Sassoli: «Sarebbe
Il progetto politico Il campo progressista? La coesione viene prima della larghezza Giuseppe Conte
I paletti La crisi di cartone è alle spalle, ma se ci saranno cambiamenti si va al voto
Enrico Letta
paradossale se facessimo saltare tutto subito dopo aver vinto le elezioni amministrative, oltretutto giocando in trasferta perché non eravamo i favoriti. Però abbiamo dimostrato che sul terreno e non nei sondaggi, come centrosinistra, siamo in grado di ribaltare il risultato».
A ruota, a tendere la mano a Conte, arriva anche Speranza, che, numeri alla mano, ricorda «come il Movimento, alle Politiche del 2018, abbia avuto il pregio di riuscire a convincere determinate aree della sinistra e a conquistarne i consensi». Ma per questo matrimonio a tre, a breve, potrebbe già arrivare una nuova bufera, quando l’esecutivo presenterà il quarto decreto per finanziare l’invio di nuove armi all’Ucraina. Mentre Letta afferma: «Abbiamo il dovere di vincere le prossime elezioni». Spunta pure un «noi» quindi, ma non è quello di Conte.