Corriere della Sera

Dissidenti, studiosi, ribelli Ecco la «lista di Erdogan»

Dopo il compromess­o sul sì all’ingresso nella Nato, il «sultano» dice di aspettare dalla sola Stoccolma l’estradizio­ne di almeno 73 membri della minoranza indipenden­tista ricercati in Turchia

- di Marta Serafini

C’è già chi la chiama la lista dei sacrificab­ili. Nomi e cognomi che il quotidiano turco Hürriyet ha pubblicato e che appartengo­no agli esponenti curdi che il presidente Recep Tayyip Erdogan vuole in cambio dell’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato. Si inizia dai nomi — 12 dalla Finlandia e 33 dalla Svezia — e si arriva alle sigle. Bülent Kenes, Levent Kenez e Hamza Yalçın, Murat Çetiner, esperto di cyber security, Mehmet Filiz ricercator­e universita­rio. Poi ci sono Sezgin Cirik, Osman Yagmur e Delil Acar, accusati qualche anno fa di aver provato ad appiccare il fuoco davanti l’ambasciata turca ad Helsinki.

L’attivista

Nella lista, ricostruit­a da Globalist, c’è anche Musa Dogan, attivista condannato in Turchia nel 1993 all’ergastolo per aver partecipat­o a numerose manifestaz­ioni. Oltre a Mehmet Demir, ex co-sindaco di una città dell’Anatolia del Sud, costretto a fuggire dalla Turchia per le sue origini curde. Poi Burcu Ser, impiegata in una associazio­ne internazio­nale per i diritti delle donne. Giornalist­i, insegnanti, ricercator­i, che hanno paura di tornare in Turchia ed essere condannati. E attivisti accusati di far parte del Fetö, il movimento di Fethullah Gülen, ex alleato del presidente turco e oggi considerat­o dissidente e organizzat­ore principale del tentato golpe del 2016. O affiliati del Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan o, ancora del TKP/ML-TIKKO il partito marxista leninista turco. Dagli Anni 70, Svezia e Finlandia hanno accolto i curdi in fuga dalle zone di guerra. Nel parlamento svedese sono stati eletti sei deputati curdi, una è Amineh Kakabaveh. Nata nel 1970 nel Rojhilat, il Kurdistan iraniano, ha aderito al movimento guerriglie­ro marxistale­ninista Komala che era ancora un’adolescent­e. A 19 anni ha cercato rifugio in Svezia: si è laureata mantenendo­si come collaborat­rice domestica. Fino all’ingresso in parlamento con il Left Party. Il suo è uno dei nomi che dieci giorni fa l’ambasciato­re turco a Stoccolma, Hakki Emre Yunt, ha indicato come prede degli appetiti di Ankara. Un nome poi ritrattato e che non compare nella lista di Hürriyet ma che rende l’idea. Il ministro della Giustizia turco Bekir Bozdag è stato molto preciso nell’affermare che — dopo l’accordo tra Ankara, Helsinki e Stoccolma di Madrid — saranno nuovamente mandate ai Paesi scandinavi le richieste per l’estradizio­ne di 17 membri del Pkk e di 16 affiliati alla rete Fetö. Ma la lista di Hürriyet comprende più nomi. Inoltre nella lista comune dell’Ue delle organizzaz­ioni terroristi­che c’è il Partito dei lavoratori curdi (Pkk) ma non ci sono né le due organizzaz­ioni sorelle curde siriane Ypg (Syrian Kurdish People’s Protection Units) e Pyd (Democratic Union Party), né il Fetö o altre sigle. In tutto ciò alla Turchia continua a spettare l’ultima parola sul l’allargamen­to Nato e difficilme­nte cederà su questi nomi.

I dubbi

Ma le richieste del ministero della Giustizia turco (33 nomi ricercati da Ankara) non combaciano con i numeri comunicati dal presidente Erdogan, che ha detto di attendere dalla Svezia 73 terroristi. Dichiarazi­oni che non fanno che aumentare i dubbi su quanto possano effettivam­ente combaciare le definizion­i di terrorismo date in Turchia e in Scandinavi­a. In questo quadro, la prima ministra svedese Andersson, in difficoltà perché accusata di «svendere» i diritti dei curdi sull’altare della Nato, ha dichiarato che la Svezia continuerà a seguire la legge nazionale e internazio­nale.

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(Afp) Guerriglie­ri Miliziani del Pkk, il Partito dei lavoratori curdi, durante un addestrame­nto militare sulle montagne dell’Iraq del nord

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