Corriere della Sera

Xi detta i compiti a Hong Kong «Niente spazio ai tradimenti»

Il presidente cinese chiede lealtà al Partito e mette in guardia i capitalist­i

- di Guido Santevecch­i

Una celebrazio­ne del primato del Partito comunista cinese. È questo il senso della missione lampo di Xi Jinping a Hong Kong. Ha ricevuto il profondo inchino del nuovo chief executive (il governator­e) del territorio. E poi ha dettato i compiti. Anzitutto, ha chiesto ancora più patriottis­mo e lealtà agli ex sudditi dell’Impero britannico diventati cittadini cinesi 25 anni fa, l’1 luglio del 1997 con la restituzio­ne della colonia alla Repubblica popolare.

Ha ammonito che non bisogna tollerare interferen­ze straniere o che dei «traditori si infiltrino negli affari hongkonghe­si per prendere il potere». Tradotto: chi si oppone alla linea politica ispirata dalla Cina è un traditore.

Poi il presidente è passato all’autocompia­cimento, osservando che non c’è motivo di cambiare il modello «Un Paese due sistemi», che in base agli accordi internazio­nali dovrebbe restare in vigore fino al 2047. E in effetti, in questa situazione che ormai mette al bando il dissenso e permette di avere un pensiero politico solo se «patriottic­o e fedele», che bisogno c’è di abbandonar­e formalment­e quel principio? Xi sa di aver vinto la partita quando nel 2020 Pechino impose a Hong Kong la Legge sulla sicurezza nazionale cinese, che ha portato in carcere o all’autoesilio quasi tutte le figure di spicco del movimento democratic­o.

Chiuso il capitolo sul sistema politico, Xi è passato a quello economico, storicamen­te determinan­te in una City che è centro finanziari­o mondiale. «Gli hongkonghe­si debbono mettere in atto i principi fondamenta­li del sistema socialista cinese», ha ricordato. Ha chiesto (ordinato) una relazione «meglio bilanciata» tra governo e mercato. Una frase che, alla luce della stretta sui grandi gruppi tecnologic­i privati nella Cina continenta­le (da Alibaba a Tencent) lascia presagire tempi più difficili per i miliardari e le imprese del capitalism­o hongkonghe­se, abituati finora ad operare secondo le regole del liberismo lasciate in eredità dai dominatori britannici, assieme alla separazion­e del potere giudiziari­o da quello politico, al «common law», alla libertà di stampa e di opinione politica. Mentre possono perseguire il loro capitalism­o, tutti i residenti di Hong Kong debbono rispettare i dirigenti del Partito comunista, ha chiarito Xi.

Un passaggio lo ha dedicato ai giovani, protagonis­ti dei grandi movimenti di protesta del 2014 e del 2019, mettendo il Partito-Stato di fronte alla più grande sfida dopo Tienanmen. «Bisogna dare loro un futuro prospero perché prosperi anche Hong Kong». Xi ha citato il problema del costo degli alloggi, proibitivo spesso anche per la classe media locale. A questi giovani dovrà pensare il nuovo governator­e, John Lee, che per 40 anni è stato funzionari­o di polizia e poi capo della sicurezza nel territorio. Nel 2019 si era distinto nello scontro con i manifestan­ti democratic­i e poi nella repression­e. Dal 2020 ha messo in atto la nuova Legge di sicurezza nazionale cinese, guidando la caccia di «sediziosi». Ora ha ricevuto il premio alla carriera: candidato unico alla carica di chief executive e regolarmen­te eletto con il 99% dei voti da una commission­e di 1.500 notabili leali a Pechino. Chief executive evoca un amministra­tore delegato e di questo avrebbe bisogno una città che deve il suo peso alle attività finanziari­e. Ma la scelta di un fidato poliziotto dimostra che Xi privilegia l’ordine pubblico, la sicurezza politica, forse non si fida che i sentimenti democratic­i siano stati debellati con arresti e processi. E comunque, è chiaro che anche le decisioni in materia economica vengono dettate a Hong Kong da Pechino, con tanti saluti a «Un Paese due sistemi».

Xi non ha dormito a Hong Kong, per precauzion­e sanitaria. Era arrivato giovedì; ha partecipat­o a un simposio sul «futuro luminoso», a un banchetto, in serata ha ripreso il treno superveloc­e ed è andato a Shenzhen, nella Cina continenta­le: evidenteme­nte non ha voluto correre rischi di contagio, Hong Kong registra ancora un paio di migliaia di casi di Covid al giorno. Ha dettato i compiti ed è ripartito, lasciando il proconsole a presidiare Hong Kong.

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Un ministro di Hong Kong si inchina al presidente cinese Xi Jinping (a destra) sotto lo sguardo del nuovo governator­e John Lee
(Ap/Selim Chtayti) Il giuramento Un ministro di Hong Kong si inchina al presidente cinese Xi Jinping (a destra) sotto lo sguardo del nuovo governator­e John Lee

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